Fabrizio Quattrocchi non si convertì all’Islam e morì come un italiano

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“È vero, mi sono convertita all’Islam“, avrebbe ammesso Silvia Romano. “Ma è stata una mia libera scelta, non c’è stata nessuna costrizione da parte dei rapitori che mi hanno trattato sempre con umanità”. “Non è vero invece che sono stata costretta a sposarmi – ha assicurato -, non ho avuto costrizioni fisiche né violenze”.

Non giudichiamo. La sindrome di Stoccoloma è fenomeno noto. Liberarla, anche a costo di un pericoloso riscatto, è stato giusto. Ingiusto averla mostrata al mondo velata come volevano i terroristi afroislamici. Un governo serio non l’avrebbe fatto.

Le torture psicologiche in un anno e mezzo avrebbero piegato chiunque.

Chiunque. Ma non Fabrizio Quattrocchi. Impossibile, in mezzo a tanti beoti festanti per avere liberato dietro riscatto Silvia Romano, che si è fatta scendere dall’aereo vestita all’islamica, come ulteriore vittoria dei terroristi afroislamici – forse era anche questo parte dell’accordo per la liberazione? -, non pensare alla morte eroica di un italiano vero.

Eppure, la sinistra, che non rappresenta il popolo ma una piccola parte di arrivisti affetti da buonismo patologico, tratta questa povera sconsiderata ragazza da eroina, e Fabrizio quasi da criminale.

Perché lei era andata ad aiutare il nemico. Mentre lui era andato a guadagnarsi il pane. Cosa che la sinistra moderna aborre più di ogni altra cosa.

L’Italia è nota per il modo con il quale dimentica i propri eroi. C’è quasi un pudore nel riconoscere l’eroismo, probabilmente derivato dalla continua propaganda anti-nazionale degli ultimi settant’anni, che ha assimilato fino a confonderli patriottismo e fascismo.

E così, un eroe vero, uno che se fosse stato americano avrebbe generato decine di films, è relegato negli anfratti della memoria. Volutamente relegato da una minoranza di fanatici che considera l’eroismo come un male e l’autolesionismo etnico un valore.

Per questa schiera di bulimici dell’accoglienza, combattere è peccato e accogliere cosa buona.

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Ma è stato dimenticato anche dalla maggioranza silenziosa, per una sorta di pudore. Colpevole pudore. Perché chi sta in silenzio non ha mai ragione.

Se altri popoli avessero avuto uno di loro al patibolo in una terra straniera, con i macellai islamici che lo circondano dire, con la morte davanti agli occhi, ‘vi faccio vedere come muore un italiano’. Avrebbero eretto monumenti, ne parlerebbero nelle scuole.

Noi no. Forse anche perché siamo un popolo antico. Un popolo che, in fondo, ha visto molti, troppi eroi. E non conosce l’ostentazione della retorica. E questo è un tratto nazionale, essere chi siamo senza doverlo ostentare.

Ma accade anche perché un manipolo di animi pervertiti è al potere. Perché una classe dirigente di preti senza fede controlla lo Stato, i media, la cultura. Per loro, uno come Quattrocchi, perfino il ricordo di uno come Quattrocchi, è pericoloso. Parla di onore. Parla di Patria. Parla di qualcosa di antico che deve essere dimenticato. Dimenticato e sepolto. Come facevano i popoli conquistatori con gli Dei dei conquistati.

Se insegnassero nelle scuole la ‘fine di Quattrocchi’ al posto di come ‘cambiare sesso’, se in tv ne esaltassero l’infinito coraggio, qualcuno potrebbe ricorda che cosa significa essere italiani. Qualcuno potrebbe essere pronto a sacrificarsi e a morire, per quello in cui crede: e questo, non può essere consentito.

Gli ‘eroi’, oggi, devono essere miliardari in mutande, meglio se diversamente bianchi. Devono essere personaggi televisivi equivoci. Individui che in una terra straniera, sul patibolo, con la morte davanti agli occhi, morirebbero la morte del coniglio.

Quattrocchi è un eroe antico. Sembra uscito dalle storia dell’antica Roma. Non è moderno, non è l’uomo nuovo che questa società vuole formare a colpi di quarantena. Quattrocchi è la resistenza di una società che ancora esiste e non vuole morire. E che se proprio deve morire, ‘farà vedere, come muore un italiano’.

Per questo la sinistra odia lui e adora chi si vende al nemico.




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