Il cosiddetto “Cura Italia”, con la scusa del coronavirus, prevede la requisizione di beni mobili e immobili degli italiani.
Le mani della Prociv e del governo Conte su case, attività e beni mobili
La requisizione è un atto giuridico che deve essere motivato da gravi motivi. Ma sappiamo, dall’esperienza immigrati con hotel requisiti, essere quasi sempre un atto di arbitrio dello Stato.
Questo il testo del decreto:
All’articolo 6 si legge che “fino al termine dello stato di emergenza dichiarato con delibera del Consiglio dei ministri del 31 gennaio 2020, il capo del Dipartimento della Protezione civile può disporre, anche su richiesta del commissario straordinario, la requisizione in uso o in proprietà da un soggetto pubblico o privato, di presidi sanitari e medico chirurgici, nonché di beni mobili di qualsiasi genere (…). Inoltre “il prefetto può disporre con decreto la requisizione di strutture alberghiere e di altri immobili per ospitare persone in sorveglianza sanitaria o in isolamento fiduciario o in permanenza domiciliare“. Nell’ultimo caso, chiaramente, non sussistono necessariamente problemi di ordine sanitario e chiunque (migranti compresi) può essere alloggiato nelle abitazioni private o negli alberghi, come già accaduto. In questi casi, si legge, verrà corrisposta un’indennità pari allo 0,42% del valore del bene, così come stimato dall’Agenzia delle entrate.
Le storture dell’articolo 6 del “Cura Italia”
Come detto, la requisizione di ogni bene mobile e immobile, anche di quelli non strettamente correlati alla sanità, è stata prevista per decreto e potrà essere eseguita fino al 31 luglio su disposizione del capo della Protezione Civile Angelo Borrelli, del commissario per l’emergenza Domenico Arcuri e, localmente, dei prefetti.
In pratica, insieme alla libertà di movimento, che però viene garantita ai clandestini, fino al 31 luglio è sospesa di fatto la proprietà privata. Ogni bene è sulla carta dello Stato.
Perché prevedere la requisizione di ogni bene mobile e immobile, anche di quelli che non hanno nulla a che vedere con la presunta emergenza, come abitazioni o veicoli? Perché toccare i privati o i gestori di alberghi anziché pensare alle riqualificazioni di strutture pubbliche fatiscenti?
Ovviamente, ci sono casi in cui è necessario. Pensiamo ad una clinica privata che oggi a Bergamo avesse a disposizione letti di terapia intensiva che, ipotesi irrealistica, non volesse mettere a disposizione.
Ma quando una legge permette di requisire ogni bene senza specificare le motivazioni, apre la porta all’arbitrio.
Ad esempio, il caso delle decine di clandestini tunisini sbarcati l’altro giorno e piazzati in un hotel requisito. Pensate a giungo e luglio con decine di migliaia di sbarchi, potrebbero requisire casa vostra per metterli in ‘quarantena’.
Altro punto: le requisizioni in uso che si trasformano in proprietà se il bene non viene mantenuto nelle condizioni originali e non viene restituito nello stesso luogo in cui è stato preso. La requisizione diventa, in quel caso, da temporanea a definitiva, e addio bene. Come se si trattasse di una sorta di racket legalizzato, che in realtà non tiene conto della stringente normativa in fatto di requisizioni. Se esiste la possibilità di frenare il provvedimento qualora lo si ritenga ingiusto o forzato?
Non solo: “in caso di contestazione anche in sede giurisdizionale – si legge infine – non può essere sospesa l’esecuzione del provvedimento”.
In pratica, totale arbitrio. Attenzione: fra controllo degli spostamenti con le celle telefoniche e proibizioni assurde di correre, passeggiare e andare in barca nei luoghi di mare, questi ci stanno prendendo gusto.
Il coronavirus è una minaccia reale. Da affrontare in modo razionale. Ma anche lo Stato è una minaccia.
Se siete proprietari di un pulmino a gpl o metano e ve lo requisiscono per scarrozzare le risorse, prima di consegnarlo chiavi in mano, controllate che non ci siano taglietti ai tubi degli iniettori e controllate le valvole di sicurezza delle bombole.
Mi raccomando!😈😈😈
conte merda insieme a tutti i comunisti.