Coronavirus: “A Bergamo è come una guerra: ondata di casi”

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«I pazienti arrivano da noi quando fanno fatica a respirare, c’è un primo supporto di ossigeno, quando non è più sufficiente si usa il casco e si va avanti il più possibile finché si arriva all’intubazione. Oppure non ci si arriva proprio, perché il paziente peggiora. Se non c’è più nulla da fare si procede con la sedazione palliativa per accompagnarli dolcemente alla fine, si chiamano i parenti più stretti e, con le dovute protezioni, possono entrare e avvicinarsi al letto del proprio caro». La testimonianza drammatica sul percorso dei malati di coronavirus è di Massimo Borrelli, direttore del reparto di anestesia e rianimazione dell’Asst Bergamo Ovest Treviglio.

«Ci sono casi molto pesanti, è una situazione che speravo di non dover vivere, visto che non ho fatto la guerra da giovane».

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«Il nostro ospedale è di dimensioni medie, normalmente ha sei posti letto in rianimazione. Ne trattiamo 20-25 massimo l’anno. Improvvisamente ci siamo ritrovati ad avere dei quadri di insufficienza respiratoria gravissimi. Nel giro di una settimana ci sono arrivati 30 pazienti, il carico di lavoro è 50 volte quello normale».

«In questo momento abbiamo ricoverate in terapia intensiva 14 persone e in subintensiva 16. Noi ne abbiamo dimessi finora due, mentre altri due non sono andati bene», ha spiegato Borrelli che ha un’equipe composta da 17 professionisti. I rianimatori lavorano senza sosta, con una notte ogni due di turno. «Intubiamo anche più di sette persone al giorno, venerdì è toccato a un ragazzo del 1977», continua Borrelli. Alla domanda di Lucia Annunziata se gli fosse già capitato di dover scegliere tra una vita e un’altra, il primario ha risposto che è necessario «ampliare i posti di rianimazione proprio perché non vorrei mai arrivare a scegliere un malato da salvare al posto di un altro».