Ammiraglio accusa Ong: “Collaborano con trafficanti, era un attacco a Salvini”

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Nuova puntata del colloquio tra l’ammiraglio Nicola De Felice e il magazine Orwell, di cui riportiamo alcuni estratti che riteniamo più significativi. Il militare accusa, come già altre volte, le ong di essere determinanti per il traffico di clandestini verso l’Italia e delinea una collaborazione tesa a mettere in difficoltà l’allora ministro dell’Interno.

Ammiraglio, il ruolo delle ONG è in qualche modo collusivo nei confronti dell’organizzazione criminale?

«Hanno interessi e finalità diverse, ma collaborano con i trafficanti, perché il risultato è buono per tutti e due. Nessun barcone o gommone parte dalle coste libiche se prima non c’è una nave ONG nei paraggi che imbarca subito i poveracci di turno (che io chiamo “naufraghi a pagamento”) con direzione l’Italia e l’Europa. Ricordo, che ogni anno, alle ONG che raccolgono i migranti clandestini, l’Unione Europea regala – e sottolineo, regala – 11 miliardi di euro…».

Ma dove li dovrebbero portare i migranti?

«Se prendiamo l’esempio della nave Sea Wacth 3, della ONG tedesca battente bandiera olandese, secondo l’articolo 13 del Regolamento di Dublino dell’UE, del 2013, i migranti illegali vanno portati nel Paese della nave, che è l’Olanda. Il dettame è stato riconosciuto anche recentemente dal Tribunale dei Ministri in sentenza per l’indagine nei confronti dell’ex Ministro dell’Interno, Matteo Salvini. Una nave è territorio giuridicamente riconosciuto di quello Stato che ha permesso alla nave di avere quella bandiera a bordo. Quando qualcuno sale su quella nave, entra ufficialmente nel territorio dello Stato di cui la nave porta la bandiera. Questo non lo affermo io, ma la Legge del mare delle Nazioni Unite (UNCLOS – United Nations Convention on the Law of the Sea) – del 1982, sottoscritta e ratificata dai parlamenti di oltre 200 Nazioni, compresa l’Italia».

«[…] sono stati al largo di Lampedusa una quindicina di giorni con una nave di grande tonnellaggio, riforniti di ogni necessità… In quindici giorni quella nave poteva andare e tornare dall’Olanda due volte. Avevano diverse possibilità al di fuori dell’Italia, ma era importante che forzassero il blocco per creare una situazione politica contro un governo inviso all’Europa. Ricordiamoci che la macchina mediatica è sempre molto attiva per creare situazioni nell’immaginario collettivo favorevoli a una certa politica. Situazioni che non hanno nulla di reale, ma che servono a orientare l’opinione pubblica in una certa direzione politica».

«La menzogna colossale propinata all’opinione pubblica, dei “porti sicuri”… mi ha fatto persino ridere, all’inizio. Avesse voluto la Sea Wacth aveva i porti della Corsica, a 24 ore di navigazione. Ma non doveva andare in Francia altrimenti avrebbe vanificato l’azione politica contro il governo italiano. Hanno detto che non poteva dirigersi in Tunisia perché – udite udite – “non è un porto sicuro”. Sono stato Addetto militare in Tunisia per il Ministero della Difesa italiano dal 2007 al 2010. Nei porti di Sfax, Gabes, Gerba, Susa, La Goulette e Port El Kantaoui sbarcano ogni settimana migliaia e migliaia di turisti con le grandi navi da crociera. Ma cosa ci vogliono far credere? Non esiste nessun documento dell’ONU o di qualsiasi altro organismo internazionale competente in materia (non certo l’Unhcr) che asserisce una menzogna di queste dimensioni. Dirò di più, neanche per la Libia vale l’affermazione “porto non sicuro”».

«Sulle coste libiche ad attendere la nave delle ONG non ci sono i trafficanti di uomini. C’è una guardia costiera libica insieme con la marina militare libica, ci sono operatori dell’ONU, dell’OIM (Organizzazione Internazionale per la Migrazione), diverse ONLUS di varie nazioni compresa l’Italia. Già dal giugno del 2018, la Libia ha fatto domanda alle Nazioni Unite per essere accreditata come nazione che può operare nella ricerca e nel soccorso di persone in mare. L’ONU ha analizzato i suoi parametri e i mezzi resi disponibili e ha registrato la richiesta attraverso il suo braccio tecnico che è l’IMO (Organizzazione Marittima Internazionale). È un Paese con gravi problemi interni ancora da risolvere, le procedure sono perfettibili, ma in lento miglioramento con la presenza sul loro territorio di numerosi consiglieri e operatori occidentali. Un “porto non sicuro” è tutta un’altra cosa».

Si sente parlare spesso di “sbarchi fantasma”, com’è possibile che la nostra linea di difesa sia così permeabile da piccoli natanti che potrebbero anche portare sulle nostre coste pericolosi terroristi?

«Arrivano quasi tutti dalla Tunisia e sono, in linea di massima, magrebini. Sono piccole barche trainate da pescherecci d’altura che imbarcano inizialmente a bordo i migranti clandestini; al termine delle acque internazionali, in prossimità delle 12 miglia delle acque costiere italiane, fanno salire i migranti sul piccolo natante e li fanno raggiungere le coste italiane sul battellino, mentre il peschereccio torna al Paese di origine. Viaggio dal rischio limitato che è difficile da individuare».

Che opinione ha su “Alarm Phone”, che spesso è stata accusata di collaborare con i trafficanti di uomini?

«Sono un’organizzazione per il soccorso in mare. Che ci siano delle connivenze… non ho elementi per affermarlo. Sicuramente, la presenza delle navi ONG nel Mediterraneo favorisce e incrementa indirettamente il traffico di esseri umani che non andrebbe avanti senza la loro presenza. La forte attrazione che esercitano le navi ONG nei pressi delle coste libiche incrementa, ahimè, anche le morti in mare. Nessuna persona sana di mente si avventurerebbe con un gommone dalla Libia all’Italia. Lo fanno perché dopo poche miglia sanno di poter incontrare la nave ONG che li traghetta in Italia».

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ALARM PHONE, IL RADIOTAXI DEGLI SCAFISTI

A fondare Alarm Phone è stato il prete eritreo e trafficante di droga don Mussie Zeray, per anni è stato il referente numero uno dei clandestini e indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Gli scafisti avevano tutti il suo numero.

Poi ha deciso di ampliare la rete. Così è partita Alarm Phone con la partecipazione di 60 attivisti che nell’arco di un solo anno sono diventati 120. oggi sono centinaia.

Molti di loro provengono dall’esperienza della campagna “Boats4people” del 2012. Sul loro sito c’è scritto: “Boats 4 People è una coalizione internazionale di organizzazioni della regione Mediterranea, dell’Africa e dell’Europa. È stata creata per impedire altre morti alle frontiere marittime e per difendere i diritti dei migranti in mare. Rivendica la libertà di movimento per tutti.”

Sul sito ci sono tutte le istruzioni su come viaggiare sui barconi e arrivare in Europa e i corrispettivi link di dove andare e cosa fare. Ma non sono gli unici.

W2EU (Welcome to Europe) è un’organizzazione che ha distribuito gratuitamente in Turchia una guida di 76 pagine scritta in arabo che contiene i numeri telefonici delle organizzazioni che aiutano i migranti come la Croce Rossa e l’UNHCR. I numeri telefonici offrono un servizio di assistenza 24h su 24. In caso di problemi in mare risponde un volontario che a sua volta chiama la guardia costiera greca affinché vada a salvarli. Così come Don Mussie Zeray risponde al telefono stando in Svizzera, una certa Sonia parlando in arabo lavora dall’Austria. L’organizzazione è composta da un centinaio di persone con sede in Europa e nel Nord Africa.

L’appellativo “angelo dei profughi” Don Mussie Zeray lo condivide con la marocchina Nawal Soufi che in poco tempo ha fatto soccorrere ventimila persone in mare. Anche il suo cellulare non smette mai di squillare. Nawal è anche conosciuta tra i migranti siriani come Lady SOS: “Una volta stabilito il contatto chi è in mare mi dà le coordinate via GPS della sua posizione, in modo tale che io possa comunicarlo alla guardia costiera”.

Anche gli attivisti in Marocco di Alarm Phone, intervistati sul proprio lavoro, suggeriscono alla loro organizzazione di usare volantini da distribuire in Africa per far conoscere meglio il loro numero verde. Il passaparola funziona meglio se trovi anche una radio locale che ne favorisca la diffusione. “Lavoriamo anche con vari progetti in Marocco e in Africa occidentale e con associazioni come: Radio Mboa, AMDH, Conseil des Migrants, Centre Culturel Africain and Chabaka (…) Tramite NoBordersMorocco, con un collettivo di attivisti sub-sahariani ed europei, abbiamo stabilito una fitta rete di persone che vivono nei vari sottoboschi e rotte della migrazione.” Così è scritto sul loro resoconto annuale.

Alarm Phone, il call center di don Zerai che gestisce il traffico di clandestini

Alarm Phone collabora con diverse imbarcazioni private e/o di organizzazioni umanitarie e ONG che hanno iniziato ad operare nel Mediterraneo centrale a maggio del 2015: Phoenix di MOAS (iniziato il 02/05/2015) e MSF (iniziato il 09/05/2015). Oggi collabora con i catalani di OpenArms e i tedeschi di SeaWatch e SeaEye.

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Ma se fossimo meno creduloni, potremmo dire che Alarm Phone nasce dall’esigenza degli scafisti di essere schermati nei contatti con le autorità. Pensate di essere uno scafista e di dovere segnalare alla Guardia Costiera italiana la posizione del vostro barcone, fingendo di essere un povero clandestino. Devi usare il tuo telefono satellitare. Questo comporta il problema di essere, poi, rintracciato attraverso il sistema di sorveglianza satellitare, rischiando di compromettere una rete di partenze molto lucrosa.

Nasceva quindi il bisogno di creare una struttura che facesse da schermo tra gli scafisti e le autorità: nasce, casualmente, Alarm Phone. Dal 2015 nasce così Alarm Phone, dall’esperienza del prete eritreo Zerai, che fino ad allora aveva ‘privatamente’ tenuto i contatti – facendo da intermediario – soprattutto tra i barconi carichi di eritrei e le autorità.

Non ci sarebbe altro motivo: perché i barconi non chiamano direttamente la Guardia Costiera maltese o italiana, preferendo invece chiamare Alarm Phone che poi contatta per loro i ‘soccorsi’? Per non essere individuati.

Sarebbe quindi interessante scoprire chi finanzia questa imponente struttura di servizio all’invasione.

Quanto a don Zerai, da Vox denunciato già nel 2013, se è vero che ora gestisce il traffico telefonico da fuori Italia, è vero che per anni lo ha fatto direttamente dal Vaticano. Prima che, poco dopo la partenza dell’inchiesta, lo spedissero stranamente a Friburgo.

Alla fine se ne sono accorti anche i magistrati. La procura di Trapani lo ha indagato per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. Ma è complicato raccogliere prove e distinguere chi segnala ‘casualmente’ barconi in difficoltà da chi direttamente gestisce il traffico:

INDAGATO IL PRETE TELEFONISTA DELLA BOLDRINI: “TRAFFICO UMANITARIO”

Ma don Zerai era noto già da anni alla giustizia italiana. Prima di farsi prete – qualcuno direbbe che ha riparato dietro la tonaca – era finito in carcere a Roma: “condannato a due anni di reclusione”, con rito abbreviato e quindi sconto di pena, per concorso in detenzione ai fini di spaccio di droga.

Non robetta: 2,2 chilogrammi di hasish. Valore attuale circa 50mila euro.

Ora, al di là di don Zerai, che sicuramente si è redento. Mettiamo che voi siate una organizzazione internazionale africana dedita allo spaccio: il vostro obiettivo è portare più spacciatori possibili in Europa per fare concorrenza alle altre mafie africane. Per farlo, potreste decidere di piazzare un vostro uomo dove è intoccabile e camuffare il traffico come ‘accoglienza’.

In sintesi: c’è un servizio che permette a clandestini e scafisti di segnalare in modo anonimo la propria posizione che poi verrà girata alle autorità – prima quelle italiane, ma dopo Salvini tocca ai libici e questo ha in parte rovinato il gioco – che si fiondano sul posto.

Per aggirare i libici, ora le segnalazioni vengono passate ai trafficanti umanitari delle Ong.

A guidare questa organizzazione, c’è un trafficante di droga che per sfuggire alla giustizia italiana si è fatto prete.

Se pensate che tutto questo sia normale, allora non lo siete voi.

Secondo noi, invece, tutto questo è parte di una grande organizzazione criminale. La mafia nigeriana? Forse. Di certo è l’entità che più ha guadagnato – numericamente visti gli 80mila soldati traghettati in questi anni dalle ong – dal traffico umanitario.

E’ su questa organizzazione che tutti i media basano le informazioni su barconi dispersi che poi spacciano ai poveri utenti.

L’ultima perla, è l’audio di un barcone partito dalla Libia, in cui i clandestini, una ventina, si lamentano: «Dobbiamo arrivare in Italia, se torniamo in Libia moriamo».

Questo ha telefonato da ovunque, tranne che dal mare. Ma ai media non interessa.

Non ci vuole nulla a realizzare un audio fasullo. E poi, anche se fosse: nessuno vi ha fatto andare dalla Nigeria alla Libia per imbarcarvi a pagamento. Sono cazzi vostri.

Ps. Sapete perché i ‘barconi’ chiamano Alarm Phone che poi contatta le autorità nazionali, invece della guardia costiera maltese, tunisina, libica o italiana? Perché, altrimenti, sarebbe noto che tutte le chiamate partono dallo stesso telefono satellitare. Alarm Phone è uno schermo utilizzato ( e forse realizzato) dagli scafisti per creare false emergenze senza essere scoperti.