Figli immigrati ci costano 12 miliardi: 1 su 4 non lavora

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Tanto, ora, c’è il reddito di cittadinanza

Immigrati di seconda generazione non sono una risorsa. Infatti, i quindicenni nati in Italia con parenti genitori hanno risultati scolastici inferiori ai figli degli italiani. Ancora peggiore la situazione per quelli nati all’estero.

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Tra la popolazione in età attiva, la percentuale di immigrati con titolo di studio superiore è però solo del 13%, contro una media Ocse del 37%, mentre nella sola Germania è del 23% e in Francia del 29%.

Una massa di mantenuti. In Italia i giovani immigrati di seconda generazione della fascia 15-34 anni con genitori stranieri sono NEET, senza occupazione e non coinvolti nel processo formativo: il dato è del 26% con scarse differenze tra nati all’estero e nati in Italia, mentre tra gli italiani il tasso è del 20%.

Insomma, una massa di figli di immigrati che non frequentano gli istituti scolastici e non lavorano: preferiscono impegnarsi in attività illecite o semplicemente a girovagare per la città senza uno scopo preciso, creando degrado e insicurezza tra la popolazione.

La domanda: perché non abroghiamo i ricongiungimenti familiari?

Stiamo importando masse di sfaticati e delinquenti. Stiamo creando in Italia le banlieus francesi.

Ma, esattamente, quanto ci costano? Il Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali, attingendo a dati Istat e del Ministero dell’Interno, ha analizzato i costi e benefici della presenza della popolazione straniera in Italia. E ha scoperto che i costi superano i benefici. E che i figli degli immigrati, oltre ad essere un enorme costo sociale, sono anche un grosso peso economico per un Paese già in difficoltà.

Secondo i dati Istat, gli stranieri residenti in Italia dal 2011 sono aumentati di circa 2,2 milioni di persone, tra nuovi ingressi e persone che hanno ottenuto la cittadinanza italiana. Un’invasione, a dimostrazione che sono i famigerati ricongiungimenti a devastare la nostra società, non i barconi. A questo vanno aggiunti i matrimoni e le nascite, che dal 2011 al 2016 hanno incrementato del 40% i rapporti di lavoro con gli immigrati.

La popolazione straniera è cresciuta in maniera sproporzionata rispetto alla richiesta di lavoro, pertanto nel corso degli anni il tasso di disoccupazione di migranti residenti è arrivato al 25% circa attuale. Proprio a causa dei ricongiungimenti familiari che non legano l’ingresso degli immigrati ad un reale bisogno di manodopera: in pratica il 25% dei migranti in Italia non solo, non lavora, quindi è inutile, ma parassita anche lo stato sociale.

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Altrettanto interessanti i dati riguardanti l’andamento della disoccupazione: tra il 2010 e il 2016, a fronte di un crollo del tasso di occupazione degli immigrati dal 67% al 58% (56% per i soli extracomunitari), in relazione a una crescita della popolazione in età di lavoro superiore a quella dell’occupazione, il tasso di disoccupazione specifico è salito fino al 17,9% nel 2013, per attestarsi oggi intorno al 15%, pari a circa 420mila persone in cerca di lavoro. Al 2017, gli immigrati rappresentano nel Centro-Nord, che pur è l’area del Paese che più li vede partecipi al mercato del lavoro italiano, il 25% del totale delle persone in cerca di impiego. Come ben sottolinea l’approfondimento, gli immigrati hanno certamente rivelato una maggiore reattività agli effetti della crisi, ma ciò è spesso avvenuto al prezzo di una penalizzazione dei salari lordi con un incremento del differenziale dal 30% al 40% rispetto a quelli percepiti degli italiani. E uno dei risultati è che la povertà assoluta e relativa di questi nuclei familiari è aumentata con un’incidenza fino a 8 volte superiore a quella delle famiglie italiane della stessa zona.

Non solo, lo studio evidenzia inoltre come l’uscita dalla crisi abbia cambiato volto al mercato del lavoro italiano delineando un quadro, all’interno del quale, riaprire le quote di ingresso per motivi di lavoro produrrebbe effetti drammatici sia per i lavoratori immigrati già presenti sul territorio sia, in generale, per i lavoratori scarsamente qualificati. Sul “banco degli imputati”, anche l’incapacità italiana di investire sulle competenze acquisite nei Paesi d’origine: se è vero che gli immigrati che vengono in Italia sono in gran parte di bassa istruzione e bassa qualificazione professionale, lo è altrettanto che sono comunque spesso occupati come manovalanza a basso prezzo, quando non addirittura in nero, con l’effetto ancor più negativo di abbassare gli standard retributivi e lavorativi per tutti i lavoratori.


UN ESERCITO DI POVERI CHE VIVE SULLE SPALLE DEGLI ITALIANI
– La povertà delle famiglie di immigrati nella zona del centro nord Italia è cresciuta di otto volte rispetto a quella delle famiglie italiane e, a questo proposito.

È stato calcolato che la sola spesa sanitaria per ogni immigrato nel 2016 è stata di 1.870 euro e dunque, per i circa 6 milioni di presenze (clandestini compresi), il totale è stimato in circa 11 miliardi di euro. A questo vanno aggiunti altri 7.400 euro pro capite per le spese scolastiche che, sommati a quelle di accoglienza, fanno raggiungere la ragguardevole somma di 23 miliardi di euro.

La cifra non tiene in considerazione eventuali spese a carico dello Stato, come l’assistenza sociale e gli sconti per strutture e mezzi pubblici dovuti ai poveri.

Secondo lo studio, nei primi 15 anni le spese supereranno sempre le entrate. Poi ‘diventeranno italiani’, e allora le spese saranno per ‘italiani’.

Bisognerebbe calibrare gli ingressi in considerazione delle reali esigenze dell’Italia. Abrogare i ricongiungimenti familiari: i loro figli ci costano miliardi di euro. Che ce ne facciamo? A cosa ci servono? Urge un’immigrazione di ‘guest worker’, non di ripopolamento: la prima è una risorsa, la seconda un costo.

Serve un blocco dell’immigrazione regolare ed è fondamentale legare l’ingresso e la presenza degli immigrati al lavoro.

Reddito di Cittadinanza a tutti gli immigrati: avranno anche gli arretrati!