Trafficante di droga può restare in Italia: “Spaccia per curare la moglie”

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E’ stato condannato per detenzione e trasporto di stupefacenti, ma non gli va revocato il permesso di soggiorno perche’, dice la solita toga, spinto dalla “necessita’ di disporre di ulteriore denaro” per “sostenere le spese mediche della moglie”.

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Con questa bizzarra sentenza il Tar di Brescia ha ribaltato la decisione della Questura, che aveva deciso di revocare il permesso per soggiornanti di lungo periodo a un cittadino albanese condannato il 20 aprile 2017 per detenzione e trasporto di sostanze stupefacenti a 4 anni di reclusione e 12 mila euro di multa. La misura della custodia cautelare era stata poi commutata in quella degli arresti domiciliari. Il ricorrente e’ dal 1999 in Italia, titolare dal 2006 di permesso di soggiorno, e lavora regolarmente.

Una situazione che gli ha permesso di ottenere il ricongiungimento con la moglie, affetta da una grave patologia che la rende invalida all’80%.

Quindi, ricapitolando: questo spaccia in Italia e fa venire qui la moglie malata per curarla (e prendersi il sussidio e ora anche il RdC) a spese dei contribuenti italiani. E invece di mandarlo a quel paese, il suo, una toga ci costringe a tenerlo in Italia. Roba da matti.

Secondo i legali dell’uomo, la Questura “avrebbe omesso di dare rilievo, da un lato al fatto che il ricorrente si sarebbe limitato ad effettuare, in un solo caso, un trasporto di Droga, mentre, dall’altro, la commissione del reato sarebbe stata motivata dalla necessita’ di disporre di ulteriore denaro, rispetto a quello derivante dalla regolare attivita’ lavorativa, per sostenere le spese mediche della moglie, solo da poco entrata in Italia”. Doveva tenerla in Albania.

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Da parte sua la Questura ha “eccepito la fondatezza del ricorso” per la gravita’ dei fatti per cui l’uomo e’ stato condannato e perche’ “in due diverse occasioni il ricorrente e’ risultato avere contatti con soggetti pregiudicati”.

Nella sentenza i giudici amministrativi, che fanno riferimento alla “giurisprudenza comunitaria e costituzionale”, scrivono che la valutazione “in concreto” della pericolosita’ sociale dello straniero “avrebbe richiesto, nella fattispecie in esame, il previo accertamento della presenza del coniuge in Italia al momento della commissione dei fatti” e l’effettiva “sussistenza dello stato di necessita’ addotto a giustificazione del comportamento delittuoso”. Inoltre, la Questura avrebbe dovuto considerare che l’uomo “risulta essere il soggetto che con il proprio reddito garantisce il sostentamento anche della moglie della figlia”.

Alla fine il Tar ha accolto il ricorso e fatto decadere il provvedimento di revoca del permesso di soggiorno, “rimettendo all’amministrazione il rinnovo dell’istruttoria relativa alla verifica degli effetti della grave condanna subita sul permesso di soggiorno in possesso del ricorrente, alla luce dei sopra evidenziati elementi che debbono essere considerati nel bilanciamento dei contrapposti interessi da comparare al fine della sostituzione del permesso di soggiorno per soggiornanti di lungo periodo con un permesso di soggiorno di tipo ordinario”.

Prima di espellere un immigrato bisogna passare centinaia di cavilli giudiziari. Urge la militarizzazione delle espulsioni. E poi, bisogna risolvere il problema alla radice: fermando i ricongiungimenti familiari.