Cassazione dà ragione a Salvini: niente permesso di soggiorno a chi non fugge dalla guerra

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Una sentenza della Corte di Cassazione dà ragione a Salvini e mette fine a deliranti sentenze di appello in cui tante toghe rosse accettavano ricorsi dei richiedenti asilo.

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Il solo dato di essersi socialmente ed economicamente inseriti nella società italiana non è sufficiente per dare al richiedente asilo il permesso di soggiorno per motivi umanitari. E ci mancherebbe, mica è per chi viene a rubarci il lavoro, è per chi fugge da una guerra: reale.

Lo hanno stabilito le Sezioni Unite della Cassazione dando ragione al Viminale, che sosteneva che i permessi non possono essere concessi sulla base del solo elemento della presunta integrazione. Che poi è il fatto che qualcuno abbia un lavoro qualsiasi al posto di un italiano.

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Per concedere un permesso di soggiorno occorre, invece, la specifica compromissione dei diritti umani nel Paese di origine di chi richiede il permesso di soggiorno in Italia.

Così la Suprema Corte ha annullato con rinvio al giudice di merito il caso di un bengalese che aveva avuto il permesso perché aveva trovato lavoro stabile a Firenze, e di due gambiani. Di questi ultimi due il primo lo aveva ottenuto in base al fatto che studiava (a spese nostre!) all’università di Trieste e aveva cosidetti “buoni rapporti sociali” mentre in Gambia non aveva più nessuna relazione, e il secondo – anche lui cittadino gambiano – aveva avuto il permesso di soggiorno per una generica situazione di pericolo alla quale sarebbe stato esposto nel suo paese di origine. Ridicoli.

«Sui permessi umanitari aveva ragione la Lega. L’ha stabilito la Corte di Cassazione. È la migliore risposta agli ultrà dei porti aperti e che vorrebbero cancellare i Decreti sicurezza». Lo afferma il leader della Lega Matteo Salvini commentando il verdetto delle sezioni unite civili della Corte di cassazione, secondo cui la situazione di integrazione da sola non basta per ottenere il riconoscimento del permesso di soggiorno per motivi umanitari.