Il PD finanzia le moschee di Erdogan a Milano

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Di Milli Gorus si è molto parlato in occasione del bando per la costruzione di tre moschee (sotto Pisapia), già allora emerse che la sigla turca – vincitrice in consorzio con altre di una delle tre aree messe a bando dal Comune – era stata inserita in Germania in una lista governativa che la indicava come estremista. L’ex pm Stefano Dambruoso segnalò il caso interrogando il Viminale. All’epoca Il Fatto quotidiano riportava i pareri di due esperti: l’esperto dell’Ispi Lorenzo Vidino considerava Milli Gorus «un gruppo dall’ideologia problematica», il professor Paolo Branca li definiva «ipernazionalisti».

E proprio nella moschea abusiva gestita da Milli Gorus in via Maderna è nato il movimento dei musulmani ‘italiani’, il cosiddetto ‘partito islamico italiano’.
Ha i suoi leader riconosciuti in Hamza e Davide Piccardo; il primo è stato fondatore dell’Ucoii, il secondo ha guidato a Milano il Coordinamento dei centri islamici, a cui aderiva (e aderisce) l’associazione Milli Gorus, che ha sede nel centro di via Maderna ed è ben rappresentata nella nuova dirigenza: il nuovo presidente del del Caim da ottobre è Osman Duran, che proprio da Milli Gorus arriva. Questa sigla ha una storia peculiare. Si tratta infatti di un’organizzazione fondata in Turchia da un capo politico-spirituale che aprì la strada all’odierno regime del sultano Erdogan, impegnato a superare la laicità e lo stato di diritto delle istituzioni turche.

C’è del resto un ponte fra Milano e Istanbul. Con un pronunciamento del Diyanet, la massima autorità religiosa (e statale) del Paese, è stata ridotta l’età minima per sposarsi.

Erdogan, patto con gli imam: “Sì matrimonio per bimbe 9 anni”

Il matrimonio di bambine di 9 anni sarebbe stato addirittura definito «necessario» per evitare che le bambine vivano «relazioni illegittime».

Impossibile cancellare il legame che lega la Diyanet ai musulmani casa nostra, o meglio a una parte dei musulmani locali, quelli del Caim, il coordinamento dei centri islamici di Milano, Monza e Brianza. In rete è ancora reperibile, dal portale del Caim, un bando per le borse di studio destinate agli studi in Scienze islamiche. Nel documento del 2015 si legge: «Il Coordinamento delle associazioni islamiche di Milano, Monza e Brianza, in collaborazione con Diyanet, l’Agenzia per gli Affari religiosi della Turchia, mette a disposizione dei musulmani italiani cinque borse di studio per giovani che vogliano conseguire la laurea in Scienze islamiche».

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La Diyanet che ha dato il via libera all’abbassamento dell’età minima per il matrimonio, figura insomma come «garante» degli studi islamici degli imam milanesi. Tutti sanno quanto sia rilevante per i fedeli la figura degli imam, anche e soprattutto in Paesi non musulmani, e quanto sia importante la formazione di questi «sacerdoti» islamici. È chiaro dunque che inquieta l’accostamento fra importanti centri islamici milanesi e questo islam di Stato che in Turchia sostiene Erdogan. D’altra parte del Caim fa parte la turca Milli Gorus, sigla inserita in una black-list dell’antiterrorismo tedesco. E il nuovo presidente del Caim, Osman Duran, arriva proprio da Milli Gorus, che a Milano ha sede in via Maderna. Dell’«addestramento» turco si era già parlato a suo tempo anche in Consiglio comunale, con Matteo Forte: «Legittimando il Caim e Milli Gorus – aveva detto – si permetterà che nei prossimi anni nei luoghi di culto su aree pubbliche del Comune ci saranno predicatori che certo, almeno a giudicare dalle parole di chi sarà chiamato a formarli, non promuoveranno il dialogo tra culture e fedi».

In realtà Diyanet ha proprio preso casa a Milano:

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L’istituto sovrintende alle strutture religiose e alle circa 85 mila moschee disposte in modo capillare fin nelle più piccole frazioni del territorio turco, il Dipartimento per gli Affari Religiosi ha vissuto negli anni di governo del Partito di Erdogan, Giustizia e Sviluppo (AKP) un’espansione senza precedenti.

Il budget dell’organizzazione, cresciuto del 176 per cento tra 2002 e 2012 e l’incremento del personale, aumentato di circa 47 mila impiegati nell’arco di un decennio. Nel 2013, il bilancio del Dipartimento ha coperto l’equivalente delle spese di ben otto ministeri, ricevendo un finanziamento due volte maggiore a quello concesso al ministero della salute.

Ha una ‘missione internazionale’. Di espandere l’influenza turca e islamica nel mondo. Sostenendo l’immigrazione.

La creazione di un polo internazionale per gli studi islamici, con un’attenzione specifica per gli studenti delle repubbliche centro-asiatiche, dei Balcani e dei paesi africani, appare tra i nuovi obiettivi dell’istituto. La missione educatrice del Diyanet ha già accolto circa 1200 studenti provenienti da queste aree per corsi di corano, 986 nuovi iscritti alle facoltà di teologia, 80 dottorandi e 1.365 nuovi allievi nei licei religiosi (imam-hatip) di tutto il paese. Nell’ottobre 2014, il presidente del Dipartimento, Mehmet Gormez, ha anche dichiarato la volontà di istituire a Istanbul un’università religiosa internazionale, in aperta concorrenza e sfida con le esistenti istituzioni in Malesia e Pakistan, compresa la storica università Al-Azhar del Cairo.

Il riflesso più spettacolare della nuova primavera del Diyanet è tuttavia quella che è stata nominata la “diplomazia delle moschee”: 50 nuovi edifici completati in 25 paesi dal 1975, supporto alla costruzione di nuove moschee e scuole in 79 paesi nel 2013. Da una sezione ad hoc del sito della fondazione legata al Dipartimento (TDV, Camilere Yardim), è possibile seguire la progressione dei nuovi progetti. Impressionante la varietà geografica: Cipro, Kazakistan, Kirgizistan, Russia, Bielorussia, Filippine, Inghilterra, Somalia. E Italia.

In Albania, Ankara si è impegnata nella costruzione di quella che è promessa diventare “la più grande moschea dei Balcani”, in grado di ospitare 4500 fedeli ed equipaggiata al meglio: un salone per le conferenze, dieci sale studio, una libreria, un museo a due piani, ristorante e centro culturale inclusi.

Le aspirazioni del Diyanet si sono spinte ben oltre il continente europeo, toccando di recente anche le sponde di Cuba. A febbraio, durante una visita sull’isola, il Presidente della Repubblica turca Recep Tayyip Erdogan ha annunciato al governo cubano di voler costruire sulle coste dell’Havana una gemella della barocca moschea di Ortakoy. Qui i desideri di Ankara si sono scontrati con la rapidità dell’Arabia Saudita, concorrente nell’espansione verso i musulmani d’occidente e prima arrivata sull’isola grazie a un accordo firmato in anticipo con le autorità cubane.

Concorrenti oltreoceano e in politica estera, Ankara e Riyadh hanno saputo però superare le ostilità reciproche nell’organizzazione dell’Hajj, il pellegrinaggio a La Mecca. Il Diyanet ha ottenuto nel settembre 2014 proprio dall’Arabia Saudita il premio di miglior fornitore di servizi per i pellegrini in soggiorno a La Mecca. Il premio è legato alla realizzazione di una maxi-cucina centrale servita da 130 impiegati e in grado di distribuire specialità turche per un’utenza di circa 40 mila pellegrini al giorno.

Multipolare e dinamica, la diplomazia del Dipartimento degli Affari Religiosi sembra proporre sotto nuove forme quelle che erano state le carte vincenti della politica estera turca a metà anni duemila: un gioco ritmico, pluri-direzionale. Sfumata la popolarità del modello democratico turco, Ankara sembra cucire per se stessa un nuovo vestito di leader islamico-sunnita d’Oriente e Occidente.

Questa istituzione turca è responsabile di queste fatwa, editti religiosi islamici:

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E’ la dimostrazione di come l’immigrazione altro non sia che un’occupazione gestita e coordinata da nazioni estere. E quella ‘culturale’ non può che seguire quella demografica. Preparate l’abito di nozze per le vostre figlie di 9 anni.




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