Al Papa Giovanni XXIII di Bergamo, il reparto di oncologia è stato occupato dagli zingari per un mese. Malati di tumore che oltre la sofferenza per la malattia devono anche sorbirsi la presenza dei rom molesti.
Sono lì da un mese e più. “Fanno il bello e il cattivo tempo”, racconta sconvolta una fonte dell’azienda sanitaria che chiede l’anonimato. “Richiedono prestazioni inutili, alzano la voce, ci minacciano. Una situazione assurda”.
L’incubo inizia a settembre, quando i nomadi si riversano sui divanetti del reparto per stare al fianco di un parente ammalato. Niente di strano, se non fosse per i disagi creati in corsia. “Una roba senza un minimo di igiene – spiega la fonte – Sono venuti anche con i bambini che andavano in giro con bici e monopattini lungo i corridoi”. I dipendenti dell’ospedale all’inizio fanno buon viso a cattivo gioco, poi la situazione “sfugge di mano”. Soprattutto di notte. “Una parte se ne sta nella stanza con il paziente, mentre gli altri si accampano sui divanetti a dormire”. Le regole del nesocomio prevedono, o forse prevederebbero, orari di visita ben precisi: dalle 14 alle 21 nei giorni sia feriali che festivi. Ma le norme a quanto pare non valgono per i rom: “Gli infermieri sono stati costretti più volte a fornire cuscini e lenzuola ai componenti della famiglia che si fermavano per la notte”. Inutile la richiesta di intervento rivolta ai sorveglianti, che in un’occasione si sono limitati a dire ai paramedici di mettersi l’anima in pace perché “conoscete la situazione, non possiamo fare altro”.
Non solo dobbiamo curare gratis i loro malati che non hanno mai pagato una tassa e, di sicuro, non pagano le prestazioni, dobbiamo anche sollazzare decine di loro parenti.
E tutto questo grazie ai tanti giudici buonisti e indirizzati.
Usare la forza per respingerli fuori dall’ospedale e far si che vengano rispettate le normali regole del nosocomio.
Far intervenire la forza pubblica e farli sloggiare con la forza.
Per gli ammalati,oltre al danno si aggiunge la beffa di convivere con questa gente e doversi guardare anche da diverse difficoltà.