L’unico modo per conoscere la percentuale di una data popolazione che è infetta da una data malattia, è fare esami a campione. Ed è cosa complicata nel caso degli immigrati.
Ma c’è un ‘campione’ pronto allo scopo: i detenuti.
La Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria ha fatto questo studio e diffuso i dati.
Nelle carceri è infatti alto l’allarme tubercolosi, che negli ultimi anni è in forte aumento tra i migranti.
Parola di Simpse, Società Italiana di Medicina e Sanità Penitenziaria e di Simit, Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali.
Il legame tra migranti e tubercolosi è evidente.
“Quando parliamo di migranti – spiegava il Prof. Babudieri, Direttore Scientifico – dobbiamo ricordarci che si tratta di persone che, per più o meno ovvie ragioni, tendono a non curarsi e a non poter approfondire la propria questione sanitaria. In aumento per loro è soprattutto la tubercolosi, con la possibilità di aumentare la circolazione di ceppi multiresistenti ai farmaci. Un ulteriore problema è intrinseco alla malattia, per sua natura subdola e non facilmente diagnosticabile, perché il peggioramento è lento e graduale. Purtroppo ci vorrebbe una maggiore attenzione proprio a partire dai centri migranti, spesso con controlli sanitari non adeguati”.
Quindi è impossibile da identificare allo sbarco. Ma lo si può fare nelle carceri. Così risulta che oltre la metà dei detenuti stranieri è positivo ai test per la tubercolosi: oltre la metà!
E’ probabile, per ragioni statistiche, che gli stessi numeri valgano per i migranti fuori dalle carceri. Magari, escludendo fattori intrinsechi con la carcerazione, 1/3 invece di oltre la metà.
E quando usciranno, malati, si trasformeranno in untori esattamente come gli immigrati che arrivano da zone del mondo dove queste malattie sono endemiche.
E non è colpa loro, è colpa nostra che li facciamo entrare.
La cosa più esilarante sono le virgole messe come si conviene. Questa critica ha unicamente l’intento di migliorarti.