Vittima immigrato lo giustifica: «Il disagio psichico non dipende dalla razza»

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«Avevo già timbrato il biglietto e stavo raggiungendo il quarto binario, ero diretta a Monza per un colloquio di lavoro, quando ho sentito le grida di una ragazza. Poi ho visto quest’uomo alto venire verso di me, sul volto un ghigno, ho avuto l’impressione che parlasse da solo, mi fissava. Ricordo che ha allargato le braccia e poi più nulla, il buio, ho perso conoscenza. Quando mi sono svegliata accanto a me c’erano gli agenti della polizia ferroviaria e una donna che mi teneva le gambe sollevate».

I lividi sul volto, la voce flebile, le parole sussurrate a fatica a causa di una vertebra cervicale incrinata, la difficoltà di stare in piedi o solo tenere gli occhi aperti per il trauma cranico subito.

Elena, 56 anni, medico neurologo, è una delle due vittime della violenta aggressione avvenuta nella tarda mattinata di lunedì nel sottopassaggio della stazione ferroviaria di Lecco:

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Colpita con un pugno in pieno volto da un 24enne del Togo. Dimessa dopo una notte in ospedale con una prognosi di un mese.

Era già stata picchiata da un altro nel 2003 mentre tornava a casa alla fine del turno di lavoro: «Fermata da un drogato sbucato da una siepe. Minacciata, percossa, lasciata libera dopo quasi un’ora. Non l’hanno mai preso, forse nemmeno hanno creduto alla mia denuncia in quell’occasione. Ma questa volta fortunatamente ci sono le immagini a parlare», racconta mentre le mani ancora le tremano.

Ma non sembra avere capito. C’è chi non capirà mai: «Non voglio però che questa vicenda venga strumentalizzata — sottolinea con forza Elena —. Chi mi ha picchiato nel sottopassaggio farneticava e il disagio psichico non dipende dalla razza. Però pretendo che mi venga garantita protezione perché non si può andare a un colloquio di lavoro e risvegliarsi in ospedale». Ad una così capiterà una terza volta, c’è da scommetterci.

Da giovedì sera, dopo le polemiche, il 24 enne del Togo si trova in carcere. L’immigrato, per cui in precedenza erano stati disposti i domiciliari, è stato prelevato dall’ospedale dove era ricoverato per un trattamento sanitario obbligatorio e condotto dietro le sbarre. È accusato di lesioni continuate e aggravate da futili motivi.




5 pensieri su “Vittima immigrato lo giustifica: «Il disagio psichico non dipende dalla razza»”

  1. Cara Elena, Pretendi ciò che non potrai mai avere se non guardi in faccia la realtà con coraggio e onestà intellettuale. Il razzismo non c’entra proprio nulla. Un nero che non ha diritto a stare nel nostro paese
    ma ti massacra le vertebre e tu perdi pure un colloquio di lavoro. Non solo non sa fare nulla questa arisorsa di colore ma ha impedito, a te, italiana, a casa tua, di migliorare la tua posizione lavorativa e le tue condizioni di vita. Quel bastardo non doveva trovarsi lì punto. E una perdita di valore per tutta la nazione a prescindere dalle tue sinistre giustificazioni. E risparmiamo un bel po di denaro pubblico nel cacciarlo fuori da qui (ci pensi la sua famiglia al suo disagio….) anziché assicurare a te che cosa? Una scorta privata?!? Un saluto di buona guarigione

  2. Per avere effetto mediatico, dunque, le botte degli immigrati devono uccidere le donne Italiane altrimenti queste giustificano il negro che le ha sderenate; perchè l’aggressione non diventi inutile sul piano propagandistico rieducativo la donna colta Italiana di mezza età deve morire. Un morto non dice sciocchezze. E comunque, meglio un somaro vivo che un dottore morto.

    1. Per carità! Quando muoiono, dopo 2 giorni i parenti, politicamente corretti, vanno in tv e trovano il giornalista, di sinistra, che chiede: ma allora lo perdonate l’assassino? E loro rispondo si certo, che colpa ne ha, è un disadattato, è la nostra società che lo ha fatto diventare cosi.
      Io che sono al davanti al teleschermo porella mi vengono le crisi epilettiche dal nervoso. Può darsi che se non muoiono, prima o dopo, uno fiero lo aspetti e quando esce gli spari.

I commenti sono chiusi.