Studio smentisce i buonisti: saremo noi a pagare pensioni ai migranti

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Quando vi dicono che gli “immigrati ci pagheranno le pensioni”, presentate l’oro quest’intervista del professor Alberto Brambilla, presidente del centro studi Itinerari Previdenziali, in cui ridicolizza l’idea.

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Non è l’unico. Anzi, la maggioranza degli studiosi la pensa come lui.

«Il 90 per cento del sistema previdenziale è sostenuto dagli italiani».

Ma il contributo degli extracomunitari è decisivo, o no?

«Il sistema previdenziale è in sostanziale equilibrio, quello che non regge è il sistema assistenziale che in gran parte è a carico della fiscalità generale. E gli extracomunitari pesano su questi conti. I regolari sono cinque milioni, gli irregolari un milione e mezzo. Noi stimiamo che il costo sanitario pro capite sia di 1.830 euro, perciò soltanto per la sanità gli stranieri costano tra i 9 e i 12 miliardi di euro. In Kenya e Tanzania se uno straniero va in ospedale con il visto scaduto chiamano la polizia; da noi un clandestino al pronto soccorso viene curato e non parte alcuna segnalazione».

La sanità non è a carico dell’Inps.

«Ma non si può far credere che vada tutto bene perché gli stranieri versano 5 miliardi di contributi previdenziali netti, senza conteggiare le altre spese. Noi valutiamo che il contributo degli stranieri al sistema Paese, sotto forma di tasse e contributi Inps, sia di 15 miliardi mentre la spesa sanitaria, assistenziale, previdenziale, scolastica cui si aggiungono i sovraccosti per i salvataggi in mare sia di 25 miliardi».

Significa che l’Italia investe ogni anno 10 miliardi di euro a favore degli extracomunitari.

«E con un debito pubblico crescente. Sono soldi che potrebbero essere investiti, che so, per rifare gli acquedotti o per un credito d’imposta a favore dell’occupazione giovanile. Boeri non può cavarsela dicendo che molti se ne vanno senza riscuotere i contributi parziali: si calcola che siano cinque milioni i silenti italiani che senza 20 anni di contributi perdono tutto. Ma esiste anche un altro problema».

«Oltre due terzi di questi extracomunitari che piacciono tanto a Boeri sono manodopera a bassissima professionalità. Perché tanta foga nel farli arrivare e trattenerli? La gran parte di questi lavori è destinata a essere sostituita da macchine o robot nei prossimi anni. La manodopera straniera dovrà essere riconvertita, ma è già difficile riqualificare i disoccupati italiani. Se teniamo conto di tutto, gli stranieri sono un peso per la nostra economia, non una risorsa. Non producono valore aggiunto, presto sarà gente da assistere o rimpatriare».

Lei si domanda il perché di tanto impegno nel trattenere i lavoratori extracomunitari. Che risposta si è dato?

«C’è gente in buona fede, che ci crede. Poi ci sono la sinistra e i sindacati che vedono un bacino potenziale di voti e di tessere. E infine, purtroppo, c’è la voglia di approfittarne degli italiani che pensano solo alla convenienza di prendere un bracciante o un badante in nero, magari clandestino, che riduce moltissimo la capacità espansiva dei nostri salari. Così il Paese muore. Se non lo capisce un piccolo imprenditore, è inaccettabile che non lo capisca lo Stato».

E un’analisi più ampia la si trova in un approfondimento a cura del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali.

Secondo dati Istat sull’immigrazione elaborati da Itinerari Previdenziali con l’ausilio delle rilevazioni del Ministero dell’Interno sull’andamento dei permessi di soggiorno regolari, la popolazione di origine straniera residente in Italia nel periodo corrispondente al blocco delle quote per motivi di lavoro (2011-2016) è aumentata di circa 1,4 milioni di unità, di fatto 2,2 milioni di persone se si tiene conto del fatto che, nel frattempo, circa 800mila stranieri hanno, purtroppo, ottenuto la cittadinanza italiana.

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Un aumento imputabile solo a richiedenti asilo e ricongiungimenti familiari.

Sempre tra il 2010 e il 2016, a fronte di un crollo del tasso di occupazione degli immigrati dal 67% al 58% (56% per i soli extracomunitari), in relazione a una crescita della popolazione in età di lavoro superiore a quella dell’occupazione, il tasso di disoccupazione specifico è salito fino al 17,9% nel 2013, per attestarsi oggi intorno al 15%, pari a circa 420mila persone in cerca di lavoro (solo nel Centro-Nord rappresentano il 25% del totale delle persone in cerca di impiego). Se è vero che gli immigrati che vengono in Italia sono in gran parte di bassa istruzione e bassa qualificazione professionale, lo è altrettanto che sono comunque spesso occupati come manovalanza a basso prezzo. Andando così ad incidere proprio nel mercato del lavoro degli italiani meno qualificati e in difficoltà economiche.

Itinerari Previdenziali spiega che gli immigrati hanno mostrato maggiore ‘elasticità’ agli effetti della crisi adattandosi a salari lordi che risultano più bassi anche del 40% rispetto a quelli percepiti dagli italiani col risultato che gli italiani sono stati espulsi da interi settori economici: non possono vivere con gli stipendi degli immigrati, pronti a sopravvivere in 25 in una stanza. Infatti gli immigrati poveri sono 8 volte superiori rispetto alle famiglie italiane della stessa zona: ma un giorno vorranno pensioni che non si sono pagati.

Il mercato del lavoro ha sicuramente cambiato volto negli ultimi anni e come sottolinea Itinerari Previdenziali riaprire le quote di ingresso per motivi di lavoro produrrebbe effetti drammatici sia per i lavoratori immigrati già presenti sul territorio sia, soprattutto, per i lavoratori italiani scarsamente qualificati.

Ora torniamo al contributo al sistema previdenziale che arriva da chi oggi – italiani e migranti – costituisce la forza lavoro del Paese.

Come ha più volte spiegato l’Inps i contributi previdenziali versati dagli immigrati sovrastano di 36,5 miliardi le prestazioni pensionistiche potenzialmente maturate. Se questo dato fa dire a Tito Boeri che “i migranti stiano pagando le pensioni agli italiani”, Itinerari Previdenziali obietta come vadano calcolate le future prestazioni. Perché un giorno i migranti andranno in pensione, e visti i bassi stipendi attuali, non se le saranno pagate.

I contributi previdenziali che, esattamente come nel caso dei lavoratori italiani, andrebbero considerati un debito pensionistico dello Stato nei confronti di chi ha versato, e quindi non ascrivibili a entrate, rendendo quindi di fatto negativo il bilancio tra benefici e costi prodotti dai flussi migratori. Capito?

Secondo l’approfondimento di Itinerari Previdenziali, poi, la sola spesa sanitaria (1.870 euro pro capite nel 2016) per i circa 6 milioni di immigrati presenti in Italia sarebbe pari a 11 miliardi, quella scolastica – riferita a oltre 1,1 milioni di stranieri (circa 7.400 euro l’anno pro capite) – aggiungerebbe al totale altri 8 miliardi. Tenendo conto anche dei costi dell’accoglienza, si arriverebbe ad almeno 23 miliardi, cifre drammatiche. Che escludono, tra l’altro, altri oneri a carico dello Stato (assistenza sociale, trasporti, etc.).

Secondo la pubblicazione del Centro Studi e Ricerche Itinerari Previdenziali l’immigrazione è, quindi, un investimento insostenibile.

“In Italia si sta al momento manifestando un problema serio di sostenibilità e il rischio concreto è quello di doverlo fronteggiare con un supplemento di interventi assistenziali”

I migranti sono una tassa da 5 miliardi l’anno

Insomma, gli immigrati, oltre ad essere un danno sociale, sono anche un peso economico. Per essere una risorsa devono essere pochi e selezionati.