Immigrati si sono portati via 66 miliardi in 10 anni

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Qualcuno dice che sono una risorsa: per i trafficanti

Dal 2008 al 2018 le rimesse dei lavoratori stranieri in Italia ai loro Paesi di origine hanno raggiunto la cifra considerevole di 66,410 miliardi di euro. Lo rivela un’analisi del Centro Studi ImpresaLavoro su elaborazione dei recenti dati Bankitalia.

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Dalla ripartizione per anno emerge che le rimesse sono cresciute nel periodo 2008-2011 passando da 6.376,9 al pacco massimo di 7.394,4 milioni di euro per poi contrarsi fino a toccare i valori minimi di 5.073,6 milioni di euro nel 2016 e di 5.081,1 milioni di euro nel 2017.

Nell’ultimo anno però si è verificata una consistente ripresa delle somme inviate da questi lavoratori alle loro famiglie di origine: si è arrivati infatti a 6.201 milioni di euro (+22% sull’anno precedente). Probabilmente per il timore di questo:

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Stime prudenziali contenute in alcuni paper pubblicati dalla Banca d’Italia sembrano suggerire che a queste cifre che transitano via intermediari ufficiali (money transfer, banche, poste) vadano aggiunti circa 700 milioni l’anno di rimesse che sarebbero inviate all’estero tramite canali “informali”.

Limitatamente a quest’ultimo anno, l’analisi del Centro studi presieduto dall’imprenditore Massimo Blasoni osserva inoltre come i lavoratori stranieri che hanno trasferito in patria il maggior quantitativo di denaro siano stati quelli residenti in Lombardia (1 miliardo e 460,1 milioni, pari al 23,5% del totale), nel Lazio (953,1 milioni, 15,4% del totale), in Emilia Romagna (571,7 milioni, 9,2% del totale), in Veneto (530,4 milioni, 8,6% del totale), in Toscana (515,8 milioni, 8,3% del totale) e in Campania (418 milioni, 6,7% del totale). Quanto alle diverse nazionalità, nella classifica stilata da ImpresaLavoro risulta che nel 2018 i lavoratori stranieri in Italia che hanno trasferito in patria il maggior quantitativo di denaro sono i bengalesi (730,7 milioni), i romeni (718,2 milioni), i filippini (451,1 milioni), i pakistani (408,7 milioni) e senegalesi (389,4 milioni). A seguire si collocano quelli provenienti dall’India (342,7 milioni), dal Marocco (330,6 milioni), dallo Sri Lanka (308,7 milioni), dal Perù (228,5 milioni), dalla Georgia (207,3 milioni) e dall’Ucraina (172,8 milioni). La Cina, che fino a pochi anni fa era uno dei tre principali Paesi di destinazione, è invece scivolata nel 2018 al 38esimo posto con un valore pari a soli 21,4 milioni di euro.

Se i lavori che fanno gli immigrati li facessero gli italiani disoccupati (5 milioni entrambi i ‘gruppi’), questi soldi rimarrebbero in Italia, e sarebbe un processo di crescita virtuoso.

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E non è solo una questione economica. Tra i beneficiari delle ingenti somme di denaro che dall’Italia arrivavano all’estero attraverso i money transfer gestiti da immigrati a Brescia e provincia, ad esempio, ci sono anche esponenti legati al terrorismo islamico.

Secondo quanto ricostruito dalla Procura di Brescia dal gennaio del 2009 alla primavera del 2012 attraverso diversi money transfer bresciani e nazionali sarebbe passata una somma che supera i 7,2 miliardi di euro con la quota di riciclato che sfonda i 3,5 miliardi di euro. Coinvolti oltre ai titolari stranieri di internet point e altre attività di città e provincia da cui partiva il denaro ci sono pure i rappresentanti legali di sette società che operano nel settore del trasferimento di denaro e alcuni loro responsabili dell’antiriciclaggio.

Solo una delle società coinvolte (sede legale nel Regno Unito e domicilio fiscale a Roma) avrebbe trasferito più di 3 miliardi di euro in oltre 2,5 milioni di operazioni, un milione e mezzo delle quali illecite, per una somma “riciclata” che supera i 2,3 miliardi di euro.

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Sono cifre mostruose. Una montagna di passaggi di denaro operazioni che avrebbero garantito alle società che raccoglievano le commesse proventi illeciti per quasi 400milioni di euro. A fare partire l’indagine della Procura di Brescia chiusa nel maggio di due anni fa la segnalazione dei carabinieri che nella loro attività di contrasto all’immigrazione clandestina avevano osservato come soprattutto nel centro storico di Brescia avessero sede decine di money transfer collocati anche in attività, parrucchieri o negozi di alimentari gestiti da stranieri ad esempio, che poco avevano a che fare con il settore delle transazioni finanziarie ma che invece avevano per le mani grandi somme di denaro che arrivavano da spaccio, prostituzione e «sospette aderenze con la sfera legata al terrorismo di matrice islamica».

Nell’inchiesta della sono così finite una ventina di attività sparse tra il capoluogo e la provincia (Desenzano, Lonato e Sarezzo) dove titolari e dipendenti eseguivano le operazioni di trasferimento senza indicare le generalità di chi sui rivolgeva a loro (venivano utilizzati talvolta codici fiscali e identità fittizie) e senza essere iscritti nell’albo degli agenti in attività finanziaria. Migliaia le operazioni irregolari per un controvalore che supera gli 8 milioni di euro. Tra gli indagati c’è anche il responsabile dell’agenzia Madina Trading di corso Garibaldi a Brescia l’attività dove sarebbero stati attivati i telefoni cellulari utilizzati nell’attentato di Mumbai del 2008 e partiti soldi per finanziare attentati in India.

Uno dei più grandi danni fatti al tessuto sociale italiano sono state le famigerate liberalizzazioni di Bersani durante i governi PD, che hanno di fatto dato il via libera alla diffusione sul territorio di migliaia di covi di attività commerciali più o meno lecita ma comunque sempre dannose gestite da immigrati. Che, tra le altre cose, oltre ad infestare i nostri quartieri e renderli sempre più invivibili trasformandoli in territori stranieri, servono per veicolare soldi al terrorismo islamico.

Parliamo di miliardi di euro che escono illegalmente dall’Italia. Roba che fa impallidire le finanziarie. L’immigrazione ci sta impoverendo, drena denaro dall’attività economica. Lo fa ufficialmente, con le rimesse registrate e illegalmente. E poi ‘boom’.