Carola Rackete, il padre della Capitana è un mercante di armi?

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A casa si annoiava, per questo ha deciso di venire a rompere le palle in acque italiane.

La capitana di Sea Watch 3, la tedesca Carola Rackete, ha minacciato in un’intervista a Repubblica : “Entro nelle acque italiane e li porto in salvo a Lampedusa. Sto aspettando cosa dirà la Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU). Poi non avrò altra scelta che sbarcarli lì”.

Portarli in Olanda? “Bisognerebbe circumnavigare l’Europa. Oltretutto l’Olanda non collabora”,dice:”Siamo circondati dall’indifferenza dei governi”, ma la vita delle persone viene prima di qualsiasi gioco politico e incriminazione”.

Ora che la decisione CEDU, tra l’altro non vincolante e alla quale Salvini aveva già preannunciato che non si sarebbe adeguato, c’è, e respinge le richieste di Sea Watch, si attende la scelta della trafficante umanitaria.

“La mia vita è stata facile, ho potuto frequentare 3 università, a 23 anni mi sono laureata. Sono bianca, tedesca, nata in un Paese ricco e con il passaporto giusto. Quando me ne sono resa conto, ho sentito l’obbligo morale di aiutare chi non aveva le mie stesse opportunità”.

Così Carola Rackete, la “capitana” della Sea Watch, sempre nella stessa intervista. Tradendo il solito disturbo delle società decadenti, particolarmente diffuso in quella tedesca, che odiano se stesse.

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E proprio questa Rackete, ma anche gli altri trafficanti umanitari di Sea Watch, mostrano cosa si nasconde dietro le azioni delle Ong: senso di colpa, sono quello che erano i fanatici cristiani nel Medioevo che si flagellavano. Solo che loro si flagellano con gli immigrati.

Le ong hanno sostituito per questi ricchi figli di papà l’andare in Africa a ‘salvare gli africani’: che non è mai stato un reale atto di amore, quanto, piuttosto, un modo di fuggire alla noia dell’opulenza. Altrimenti andrebbero a fare volontariato negli ospizi vicino casa.

Probabilmente, Carola era alle stazioni tedesche ad accogliere i clandestini con uno di quei demenziali cartelli ‘refugees welcome’, nel 2016. Ora ha deciso di venire a rompere in Italia. Levati dalle palle, Carola.

L’intelligence italiana conosce bene la pratica. I file sul Moas e sulle altre Ong in grado di mandare navi davanti le coste libiche incominciarono a venir redatti fin dall’inizio di Mare Sicuro, la missione navale per la difesa degli interessi nazionali varata nel marzo 2015.

L’attenzione del personale d’intelligence imbarcato sulle nostre unità si focalizzò immediatamente sull’addestramento e sulle capacità del personale di soccorso del Moas, l’Ong basata a Malta e guidata dall’americano Christofer Catrambone e dalla moglie italiana Regina. Bastò poco per scoprire – spiega una fonte de il Giornale – che «gran parte di quel personale veniva arruolato nelle stesse liste di contractors ingaggiati dalle compagnie private di sicurezza». Gli «angeli custodi» dei migranti, con cui lavorava anche Emergency erano, insomma, veri e propri mercenari. O se vogliamo un titolo più à la page professionalissimi «contractors».

Ma la rivelazione più interessante raccolta da il Giornale è un’altra. Secondo fonti militari di Malta le attività del Moas coprono attività d’intelligence per conto del governo statunitense. E secondo le stesse fonti su almeno una delle due navi del Moas sono, o erano, installate strumentazioni per intercettazioni ad ampio raggio. Nulla d’illegale per carità. Negli Stati Uniti l’intelligence outsourcing, l’affidamento di operazioni di spionaggio a società private dà lavoro a 45mila persone e spartisce fondi per 16 miliardi di dollari. Il problema è la copertura sotto cui il Moas svolge la duplice attività. Il coordinamento delle operazioni di soccorso viene infatti realizzato con il coordinamento della Guardia Costiera. Come se, insomma, un’ambulanza in capo al 118 o a un altro numero di pubblico soccorso, utilizzasse la propria attività per raccogliere informazioni finalizzate alle strategie di potenze straniere.

Non a caso il comandante generale della Guardia Costiera ammiraglio Vincenzo Melone è atteso in Commissione Difesa del Senato per rispondere, già martedì prossimo sull’esigenza di preservare gli interessi nazionali in un’area critica come le coste della Libia. Interessi apertamente calpestati dal Moas che per primo – come rivelano sia le segnalazioni di Mare Sicuro, sia dalla missione europea EunavFor Med – iniziò a varcare il limite delle acque territoriali libiche. Tra le quattro operazioni al di sotto delle 12 miglia messe sotto esame nel 2016 due vennero portate a termine tra giugno e luglio dal Phoenix e dalla Topaz-Responder, le due imbarcazioni di 41 e 50 metri in capo al Moas registrate in Belize e nelle isole Marshall. Operazioni registrate dai trasponder di bordo sicuramente non sfuggite all’attenzione della Guardia Costiera.

Il problema a questo punto è se la duplice attività svolta dal Moas sia stata segnalata al nostro governo e se queste segnalazioni siano state recepite con la dovuta attenzione. Per capire che le operazioni del Moas erano il simulacro mediatico di altre attività bastava consultare il sito internet di Tangiers Group, la compagnia capofila di Christoper Catrambone in cui si pubblicizzano apertamente attività come «assicurazioni, assistenza d’emergenza e servizi d’intelligence». Ma come dimostrano gli avvertimenti «politici» ricevuti dal procuratore della Repubblica di Catania, Carmelo Zuccaro, responsabile dell’inchiesta sul Moas e sulle altre Ong, portare alla luce e denunciare quell’ambiguità non è altrettanto facile. In fondo il signor Catrambone restituiva parte dei proventi incassati con le attività d’intelligence devolvendo 416mila dollari al comitato elettorale di una Hillary Clinton considerata, fino allo scorso novembre, la prossima, inarrestabile inquilina dello Studio Ovale.

Il tutto mentre la moglie Regina spiegava sul sito Open Democracy – un’organizzazione di George Soros – la necessità di garantire agli immigrati accessi facilitati in Europa. Referenze complicate e imbarazzanti. Capaci di vanificare anche le esigenze di sorveglianza attribuite solitamente a un governo.

Possiamo scrivere senza tema di smentita che la società capogruppo del Moas, Tangiers, operava per conto del governo americano almeno dal 2009. Tanto che i suoi investigatori e mercenari, che si occupavano di indagare per conto della multinazionale AIG i feriti di guerra – si tratta di dipendenti federali americani feriti in zone di guerra e che chiedevano un giusto risarcimento che la multinazionale tentava di negare con l’apporto di sciacalli come i Catrambone-, mostravano tessere di identificazione del Dipartimento di Stato Usa, quello guidato all’epoca da Hillary Clinton e del Dipartimento del Lavoro:

Siamo talmente certi, di quello che scriviamo, che invitiamo il signor Catrambone a denunciare Vox. Magari alla Procura di Catania. Non basta: perché il Dipartimento del Lavoro, in una sorta di faida interna al governo americano, denunciò l’uso da parte dei Catrambone di falsi documenti di identificazione, al che i Catrambone si rifecero ad un permesso dell’ambasciata americana a Malta, che però smentì.

Nel caso del Moas e di Sea Watch siamo in presenza di una organizzazioni tutt’altro che benefiche. Parti di un’operazione ad ampio raggio tesa a destabilizzare l’Europa con l’importazione di massa di africani.

Operazione probabilmente partorita dall’amministrazione Obama: prima destabilizziamo la Libia – con l’utilizzo di agenti come Sarkozy -, poi la usiamo come base per l’operazione di sostituzione etnica. Del resto Tangers-Moas lavorava a contratto per il governo americano, forniva mercenari, e poi ‘soccorritori’.




Un pensiero su “Carola Rackete, il padre della Capitana è un mercante di armi?”

  1. Considerato che i crucchi lo scorso anno hanno fatto una esercitazione utilizzando manici di scopa al posto delle mitragliatrici hanno il mercante d’armi che si meritano.
    NB – il signor Mehler, beh, è un ebreo. Ma questa era facile facile.

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