«Io venuto in Italia a rubare perché non si va in carcere: in Albania tutti lo sanno»

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Un cittadino albanese di 36 anni, già espulso 13 volte dal nostro Paese, è stato nuovamente arrestato dopo aver tentato di rientrare in Italia.

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L’albanese ha ricevuto i precedenti 13 decreti di espulsione da diverse prefetture. Prima di Reggio Emilia è stata la volta, ad esempio, di Bologna, Treviso. Ben 11 di queste espulsioni sono state portate a termine con scorta fisica fino alla frontiera, in una procedura denominata “accompagnamento coattivo alla frontiera”. Nella sua collezione di premi, si annoverano quindi 10 denunce in stato di arresto per reingresso illegale e “solo” due denunce in stato di libertà per aver violato le misure imposte dal questore in alternativa all’accompagnamento.

L’ultima espulsione era dello scorso 23 maggio. Dopo 8 mesi di reclusione nelle carceri italiane, l’albanese venne rimandato nel suo paese natio con un volo diretto da Malpensa. Ma anche stavolta è tornato, trovato a Reggio Emilia e arrestato: e ora saremo a 14.

Purtroppo, gli albanesi possono entrare in Italia senza visto: una follia.

E il perché vogliano, per forza, vivere in Italia, ce lo spiegò un loro connazionale, arrestato due anni fa dopo aver tentato di rubare su un’auto in sosta nei pressi del teatro Donizetti.

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Per questo motivo l’albanese di 35 anni era finito a processo in tribunale con l’accusa di tentato furto.

Ma la cosa curiosa di questo procedimento furono le parole che il ladro aveva pronunciato: «Sono venuto in Italia a rubare, perché qui da voi è più facile e la maggior parte delle volte non si va in carcere». Una frase che dimostra quanto all’estero sia tenuta in poco conto la disastrata giustizia italiana, tanto che i malviventi scelgono proprio il nostro malmesso Paese per compire furti. E non è la prima volta che un extracomunitario pronuncia simili parole. Era successo qualche anno fa. E allora era stato un tunisino a dire che da loro era molto più difficile delinquere e che le loro carceri erano molto più dure.

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Ma torniamo al cittadino albanese. Il 35enne ha candidamente ammesso che era stato un suo connazionale, rientrato in patria dopo qualche anno trascorso in Italia, a spingerlo a raggiungere il Belpaese. «Vai lì, mi aveva detto. È più facile rubare e anche quando ti prendono non si va quasi mai in galera. E comunque le carceri italiane, pur sovraffollate, sono sicuramente meglio delle nostre e anche meno dure. Ed è vero». Il ladro era stato arrestato grazie a un cittadino-segugio. Prima aveva spaccato il vetro di una vettura parcheggiata in centro per rubare dall’abitacolo, ma era finito in manette perché il cittadino lo aveva notato, aveva chiamato le forze dell’ordine e, incurante del possibile pericolo, aveva seguito l’autore del tentato furto fino all’arrivo dei carabinieri. I militari, che si trovavano nelle vicinanze, erano intervenuti immediatamente e, dopo aver ricevuto la segnalazione del cittadino-detective, avevano catturato il malvivente albanese in via Tasso, nelle vicinanze del liceo artistico. Addosso aveva una pinza appuntita, che l’uomo aveva utilizzato per rompere il vetro della macchina. Una volta bloccato dagli investigatori dell’Arma, li aveva apostrofati con tono arrogante e sprezzante: «Tanto in carcere per un furto da voi in Italia non ci va nessuno. Domani sono di nuovo libero».

Parole che ha ripetuto in tribunale, come se fosse normale pronunciare davanti a un giudice un simile disprezzo per l’ordina – mento giudiziario italiano. «E in Albania molti miei connazionali la pensano così. Per sbarcare il lunario, molto meglio venire a compiere furti in Italia, dove la giustizia è molto meno severa che da noi e dove i controlli da parte delle forze dell’ordine non sono così efficaci, anche perché sono in pochi e non possono controllare tutto il territorio».

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