Oggi, nel 1992, moriva Giovanni Falcone. Ma in realtà era morto molto prima. Ucciso da un clima che molti gli avevano creato attorno.
Tra questi, l’attuale sindaco di Palermo, il mafiologo Leoluca Orlando:
Interessante lo scambio di Falcone con un altro magistrato, sul concetto di ‘responsabilità dei magistrati’. In cui Falcone denota di essere una spanna sopra tutti: non ‘un magistrato’, ma un italiano che faceva il magistrato.
Oggi, nel 1992, moriva Giovanni Falcone. Ma in realtà era morto molto prima. Ucciso da un clima che molti gli avevano creato attorno.
Tra questi, l’attuale sindaco di Palermo, il mafiologo Leoluca Orlando:
Interessante lo scambio di Falcone con un altro magistrato, sul concetto di ‘responsabilità dei magistrati’. In cui Falcone denota di essere una spanna sopra tutti: non ‘un magistrato’, ma un italiano che faceva il magistrato.
Dopo che Falcone accettò l’invito di dirigere gli Affari penali al ministero della Giustizia, durante una puntata di Samarcanda del maggio 1990, Orlando Cascio vomitò le accuse peggiori: Falcone – disse – ha una serie di documenti sui delitti eccellenti ma li tiene chiusi nei cassetti. Per l’esattezza il riferimento era a otto scatole lasciate da Rocco Chinnici e a un armadio pieno di carte.
E «io sono convinto», urlava con quel suo tono millenaristico Orlando, «che dentro i cassetti del Palazzo di Giustizia ce n’è abbastanza per fare chiarezza su quei delitti».
Falcone rispose: «È un modo di far politica che noi rifiutiamo… Se Orlando sa qualcosa faccia i nomi e i cognomi, citi i fatti, si assuma la responsabilità di quel che ha detto, altrimenti taccia. Non è vero che le inchieste sono a un punto morto. È vero il contrario: ci sono stati sviluppi corposi, con imputati e accertamenti».
Ma Orlando «diede inizio», scrisse Maria Falcone, a una vera e propria campagna denigratoria contro mio fratello, sfruttando le proprie risorse per lanciare accuse attraverso i media».
E tornò alla carica il 14 agosto 1991, quando rilasciò un’intervista su l‘Unità poi titolata «Indagate sui politici, i nomi ci sono»: «Sono migliaia e migliaia i nomi, gli episodi a conferma dei rapporti tra mafia e politica. Ma quella verità non entra neppure nei dibattimenti, viene sistematicamente stralciata, depositata, e neppure rischia di diventare verità processuale… Si è fatto veramente tutto, da parte di tutti, per individuare responsabilità di politici come Lima e Gunnella, ma anche meno noti come Drago, il capo degli andreottiani di Catania, Pietro Pizzo, socialista e senatore di Marsala, o Turi Lombardo? E quante inchieste si sono fermate non appena sono emersi i nomi di Andreotti, Martelli e De Michelis?». Orlando citò espressamente, tra i presunti insabbiatori, «la Procura di Palermo» e implicitamente Falcone. Per il resto, tutte le accuse risulteranno lanciate a casaccio. Poco tempo dopo, il 26 settembre 1991, al Maurizio Costanzo Show, ad attaccare Falcone fu il sodale di Orlando, Alfredo Galasso.
Lo stesso Galasso assieme a Carmine Mancuso e a Leoluca Orlando, l’11 settembre precedente, aveva fatto un esposto al Csm che sarà il colpo finale: si chiedevano spiegazioni sull’insabbiamento delle indagini sui delitti Reina, Mattarella, La Torre, Insalaco e Bonsignore e anche sui rapporti tra Salvo Lima e Stefano Bontate e sulla loggia massonica Diaz e poi appunto sulle famose carte nei cassetti.
Così, dopo circa un mese, il 15 ottobre, Falcone, l’eroe che stava davvero combattendo la mafia, non in televisione, dovette discolparsi davanti al Csm: «Non si può andare avanti in questa maniera, è un linciaggio morale continuo… Non si può investire della cultura del sospetto tutto e tutti. La cultura del sospetto non è l’anticamera della verità, la cultura del sospetto è l’anticamera del komeinismo». Racconterà Francesco Cossiga nel 2008, in un’intervista al Corriere della Sera: «Quel giorno lui uscì dal Csm e venne da me piangendo. Voleva andar via».
Orlando, poi, da faccia di culo qual è, il 23 maggio 1992, a macerie fumanti, tornò amico di Falcone, come se nulla fosse stato.
Il 25 gennaio 1993, intervenendo telefonicamente a Mixer su Raidue, Maria Falcone disse a Leoluca Orlando: «Hai infangato il nome, la dignità e l’onorabilità di un giudice che ha sempre dato prova di essere integerrimo e strenuo difensore dello Stato. Hai approfittato di determinati limiti dei procedimenti giudiziari, per fare, come diceva Giovanni, politica attraverso il sistema giudiziario».
Onore al merito per coloro che hanno pagato col supremo bene della propria vita.
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