Polizia slovena annuncia ondata islamica: “Non abbiamo abbastanza poliziotti per fermarli”

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I sindacati di Polizia Sloveni segnalano uno stato di crisi: come riporta un servizio di TV Capodistria viene lamentato un sovraccarico di lavoro dei poliziotti, e si sottolineano fortemente le responsabilità del Governo nella drammatica situazione al confine con la Croazia in merito agli attraversamenti illegali dei clandestini.

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Secondo i sindacati “il governo e il Ministero dell’Interno sloveni non hanno fatto assolutamente nulla dall’inizio del loro mandato. Manca il 30 percento di poliziotti e la Polizia non sa più da dove attingere il personale”.

Questo spiegherebbe l’aumento del flusso di clandestini delle ultime settimane alla frontiera di Trieste. Si rischia un’estate d’emergenza, con la carovana islamica in marcia:

Accampamenti islamici lungo la frontiera italiana, prima di dare l’assalto – VIDEO

Proprio ieri, a Roma, la direttrice generale della Polizia Slovena Tatjana Bobnar ha concordato con l’omologo italiano Franco Gabrielli la formazione di pattuglie miste al confine. Ma questo non farà che sguarnire le frontiere meridionali slovene, con l’ingresso di clandestini che poi arriveranno a Trieste. Meglio schierare i nostri soldati alla frontiera orientale. E ripristinare controlli a tappeto.

La Trenta, invece di pensare alla parata del 2 giugno, che ha trasformato in una sorta di gay pride, schieri l’esercito lungo il confine orientale. Abbiamo gli Alpini, o ci servono solo per le feste di piazza? Cosa stiamo aspettando?

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Siamo al paradosso di un Paese, l’Italia, che tiene all’estero migliaia di soldati a proteggere i confini di Paesi stranieri, mentre lascia sguarnito il proprio. Cosa ci fanno i soldati italiani alla frontiera tra Libano e Israele, invece che a quella tra l’Italia e la Slovenia?

Il capo della Polizia Franco Gabrielli ha rilanciato il 17 maggio l’allarme sui ‘foreign fighters’ (figli di immigrati islamici) per ribadire quando sia fondamentale per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa stessa la cooperazione con le forze di polizia di quei paesi.

Che i Balcani siano infatti da decenni un punto di passaggio per combattenti islamici ma anche un luogo dove coltivare integralismi e radicalismi, non è un segreto per nessuno visto che, come ricorda l’ultimo rapporto della Fondazione Icsa, sin dall’inizio del conflitto nell’ex Jugoslavia i mujaheddin afghani videro nella Bosnia “la possibilità di aprire un nuovo teatro operativo dopo la chiusura di quello afghano e un’occasione di diffusione del loro credo e del jihad alle porte dell’Europa”.

Così a partire dal 1992 arrivarono a Sarajevo combattenti di ogni provenienza uniti dall’esperienza afghana, armi e cospicui finanziamenti da varie ong islamiche. Lo stesso Bin Laden, allora sconosciuto, fu visto più volte nella capitale bosniaca.

“Quei fondi, quegli arsenali, quei contatti sviluppati nei primi anni novanta – dicono ancora gli analisti – posero le basi del successivo sviluppo dell’attuale minaccia nei Balcani” che “rappresentano una base d’appoggio per il terrorismo di stampo jihadista”. Sia quello nato nelle comunità da tempo islamizzate sia quello “di ritorno”.

Da queste valutazioni emerge la necessità, ribadita dal capo della Polizia, di monitorare i flussi con la massima attenzione: “a fronte di un significativo decremento dei flussi nel Mediterraneo – ha detto Gabrielli- abbiano registrato una ripresa sulla rotta balcanica, anche se non ai livelli del 2015. E questo fenomeno, commesso alla caduta dell’Isis, rappresenta un motivo di preoccupazione per la sicurezza dell’Italia e dell’Europa perché “è possibile, e in alcuni casi probabile, un afflusso di foreign fighters”.

E allora, ancora, cosa aspettiamo a schierare l’esercito?