Finti profughi se ne vanno: “Demoralizzati da Salvini”

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Sanno che la pacchia è finita, e si autoespellono tentando la via di altri Paesi più ospitali

Eccoli durante la protesta: da quale guerra fuggono?

Lunedì 18 febbraio davanti alla sede della cooperativa La Fenice in via M.O. Briolini angolo via Duca d’Aosta ad Albino, Bergamo, i giovani richiedenti asilo si sono dati appuntamento cercando il presidente e il responsabile del progetto “Richiedenti asilo” lamentano il ritardo della paghetta, il loro “pocket money” che lo stato italiano regala a ogni richiedente asilo per gli stravizi quotidiani.

Fabrizio Persico, presidente della cooperativa La Fenice, ne approfitta per prendersela con Salvini: «Da tempo la preoccupazione è alta e la situazione è tesa, ma è andata progressivamente peggiorando in queste ultime settimane per alcune ragioni che i nostri giovani mal tollerano».

La situazione che si è creata ha a che fare con il Decreto Salvini?

«Da quando è stato approvato le cose stanno andando male perché le Commissioni addette all’esame della “richiesta di asilo” non rilasciano più permessi e quindi risultano vanificati tutti gli sforzi che negli anni i ragazzi hanno profuso per imparare l’italiano, trovare un lavoro, rendersi disponibili per attività di volontariato e costruire così la propria integrazione. Un disastro. E anche chi, la Caritas, le cooperative sociali, tante parrocchie, tanti Comuni, gli oratori, tutti quelli che in questi anni hanno lavorato per costruire progetti per aiutare l’integrazione oggi appaiono demoralizzati».

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Come vivono i ragazzi questa situazione?

«Se ne stanno andando senza nemmeno attendere la notifica del diniego, ma questo andarsene non è affatto un buon segnale. Qualcuno se ne va addirittura in anticipo rispetto ai tempi programmati dell’accoglienza e rinuncia a qualche mese, in qualche caso anche a un anno, di ospitalità perché ritiene che non valga più la pena aspettare senza alcuna speranza. Non è un buon segnale perché quelli che si eclissano non si sa bene dove vadano a finire: in qualche caso vanno al Sud perché hanno sentito dire che laggiù è più facile trovare lavoro, quasi certamente in nero, nel mondo dell’agricoltura. Non che qui si lavori sempre con un contratto regolare, ma gli enti che fanno accoglienza (la Caritas e le cooperative sociali) hanno sempre cercato di sorvegliare anche questo aspetto, oltre a curare la frequenza della scuola di italiano, a provvedere all’abbigliamento, all’assistenza sanitaria e legale, al vitto e all’alloggio e a costruire progetti che facilitino l’integrazione».

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Si deve ricordare a questi personaggi che hanno parassitato i contribuenti per anni, che chi fugge dalla guerra si accoglie finché non è finita, non si lavora per farli ‘integrare’: questa è sostituzione etnica, non accoglienza.

Ma siccome non sono mai stati in fuga dalla guerra, l’obiettivo era un altro: farsi mantenere e rubare il lavoro agli italiani accettando paghe da fame, tanto vitto e alloggio erano garantiti.

Se ne vanno? Bene. Caritas e altri parassiti dell’accoglienza sono ‘demoralizzati’? Bene.

E non dimenticate di andare affanculo.