Italia invasa dai nigeriani: gli slum della mafia nigeriana

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Negli anni del PD i ghetti sono cresciuti e si sono moltiplicati. Ormai sono un arcipelago.

Ma perché i migranti si concentrano proprio in quei luoghi?

Perché non servono. Non possono trovare lavori normali che garantiscano una vita normale, così si assiepano in veri e propri slum africani nel cuore dell’Italia.

Fanno, come ci dicono, i “lavori che gli italiani non vogliono fare”: in realtà fanno lavori che gli italiani farebbero in condizioni non schiavili. Lavori che in altri paesi fanno ormai le macchine nel 90% dei casi.

Come Mohammed, clandestino, che si fa strada nel fango, tra rifiuti e casette di cartone di uno dei tanti accampamenti nati in questi anni di sbarchi. Accanto a lui un gruppo di gambiani costruisce nuove abitazioni martellando su travi di legno. Nigeriani inventano negozietti: vendono burro di arachidi, bustine di Oki e doppio concentrato di pomodoro.

Queste baraccopoli nascono intorno ai campi eretti dallo Stato.

Le definiscono ‘città informali’. Contano migliaia di abitanti che vivono in baracche affollate: sono le ‘città’ della mafia nigeriana. E’ in questi luoghi che spacciatori e assassini si nascondono. Come accadde dopo il brutale omicidio di Desirée.

“Lavorano a cottimo o a giornata, senza contratto né busta paga, con una retribuzione ben inferiore a quella sindacale”, racconta l’organizzazione umanitaria Medu. Ed è il motivo per il quale questi lavori gli italiani non li possono più fare. E anche perché non si pensi alla meccanizzazione dell’agricoltura: ci sono gli schiavi. Un freno allo sviluppo. Lo stesso freno che fu tra le cause del declino dell’Impero Romano. Che anche per mancato progresso tecnologico crollò su se stesso.

Mohammed, il clandestino, quattro anni fa è sbarcato a Pozzallo con una delle tante navi ‘umanitarie’. Lo hanno trasferito in un Cas nei pressi di Magenta. Alla commissione per l’asilo ha raccontato di una lite con fratello, del padre ucciso, dei rischi che corre in patria. Ovviamente non gli hanno creduto. Uno degli avvocati che bazzicavano il centro ha chiesto 1.200 euro per il ricorso, racconta lui. Ricorso che comunque ha perso: a carico dei contribuenti. La prossima udienza è prevista a febbraio. Perché lui ha fatto un altro ricorso.

“In Mali facevo l’autista, 600 km a viaggio partendo da Bamako”, racconta. “Ma so anche montare i pannelli solari”.

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Va a Napoli e trova lavoro presso un parrucchiere africano. Conosce lo sfruttamento tra connazionali: prende 180 euro, ne spende 100 per un posto letto (solo notturno, di giorno non può entrare in casa). Mentre fa la barba a un cliente, sente la parola che gli cambierà la vita: Rosarno. Gli dicono che lì si trovano lavoro e documenti. Invece rimane bloccato in una baraccopoli.

Nouredine, Lamine, Soleiman, Ahmed e gli altri abitanti del ghetto sono le macerie del sistema di accoglienza. “L’80 per cento è in Italia da meno di tre anni”, spiega Medu. Sono “diniegati” dalle commissioni asilo: l’errore è stato traghettarli in Italia, quando si poteva capire già dall’inizio che un africano non può fuggire dalla guerra in Siria.

Ora, a migliaia, passano l’anno cercando lavoro nelle raccolte delle arance e dei pomodori. Risorse, direbbe la Bonino. Che non ha sentito parlare di robotica.

L’Italia, dicono questi clandestini che si sono spacciati per profughi, è “una grande prigione. Tra Rignano Garganico e Borgo Mezzanone, si espande l’arcipelago dei ghetti. La “pista” è il più surreale. Una ex base Nato divisa tra il Cara – un centro di accoglienza statale – e una massa di casette, tende e baracche. Suleyman è un signore somalo che vive tra reticoli di cavi elettrici e negozietti. Cerca qualcuno per interpretare una serie di fogli della Commissione asilo di Gorizia. C’è un’incongruenza sull’età – si è finto minorenne – e per questo ha ricevuto un diniego che lo ha sbattuto all’altro estremo della penisola.

Accanto a lui ci sono altri immigrati in attesa di ricorso a Crotone, c’è chi attende notizie dalle questure di mezza Italia e chi ha già ricevuto un rifiuto. Sono tutti clandestini, tutta gente che, con il decreto Salvini, in Italia non ci può stare.

E’ questa massa di giovani africani senza prospettive dovrebbe pagare le pensioni. Raccogliendo pomodori che non ci sono.

Negli ultimi anni in Italia sono arrivati quasi 1 milione di clandestini. Oltre il 90 per cento non è profugo, parliamo di oltre 900 mila clandestini.

In questi anni, le richieste di asilo sono state presentata soprattutto nigeriani, bangladesi, pakistani, gambiani e ivoriani. Tutte nazionalità improbabili. Gente che il PD aveva trasformato in profughi per foraggiare le Coop di partito. A mezzo con quelle del Vaticano. E la ‘ndrangheta, ovviamente.

Gente che andrebbe rispedita a casa a calci in culo: per rispetto, anche, verso chi fugge da guerre reali.

Invece rimangono qui, come clandestini o mantenuti. La percentuale di dinieghi, che dovrebbe essere al 100% è rimasta per anni costante (60 per cento), solo ora sta salendo verso il 90 per cento, ma anche i ‘diniegati’ non vengono espulsi: e così abbiamo migliaia di clandestini pronti a popolare i ghetti e finire in mano alla mafia nigeriana. Carburante infinito per lo schiavismo dei prossimi anni. Un freno allo sviluppo. Un danno ai lavoratori italiani. Un degrado senza fine. Un pericolo per la nostra gente.

Blocco sbarchi. Espulsioni di massa e bonifica degli slum africani in giro per l’Italia. E chi si oppone, alla forca.