La vecchietta arzilla: “Salvini si porta via i miei 20 immigrati” – VIDEO

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C’era un mucchio di gente in giro per l’Italia, per lo più dal basso quoziente intellettivo, che lucrava e parassitava il business dell’accoglienza.

Questo delirante articolo di un giornale locale lo dovete leggere fino in fondo, perché è solo all’ultima riga che l’autore, probabilmente inconsciamente, svela la verità.

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«Fate i bravi, come avete fatto qua»: Lucietta piange. Ha in mano una busta di dolciumi, il suo saluto agli ospiti, ai profughi che lasciano il centro San Pio di Via Pesca dopo due anni. Lei ha settant’anni e ha subito preso a cuore questi ragazzi, arrivati dal sud del mondo, accolti dalla cooperativa guidata da Carlo D’Acunzo. «Non hanno mai dato un problema, io gli voglio bene spiega la signora- e ora, per il governo, se ne devono andare ».

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La comunicazione è arrivata 48 ore prima, con la nuova destinazione a Capaccio, dove in un centro più grande verranno accolti conservando il loro status. In totale sono venti, di cui 10 bangladesi, 3 nigeriani e un pakistano: loro hanno accettato la nuova accoglienza, pur perdendo l’integrazione nella città di Pagani. Qui avevano trovato un lavoro, per lo più in attività di ristorazione nei dintorni. Altri lavoravano altrove, in officine o piccole aziende private. Qualcuno aveva intrapreso relazioni di amicizia o sentimentali. Tutti gli altri, sui 40 ospiti totali della struttura, andranno in altri posti, con delle case prese in fitto, trovate per non perdere l’occupazione o per restare qui, dove ormai hanno messo delle piccole, temporanee radici. «Io non ho un lavoro ma ho la casa, lo troverò», racconta uno dei pakistani rimasti. Una coppia con un bambino prepara l’auto riempiendola di bagagli. Le facce tristi e quelle indifferenti si compensano, perché al dolore per l’ennesima difficoltà si associa la consapevolezza di essere in un viaggio continuo. Tra le esperienze di molti degli ospiti c’è la guerra, il viaggio per mare, le sevizie. E le violenze sessuali, per le donne. Qui avevano messo insieme una piccola comunità, vincendo in gran parte la diffidenza dei residenti. «Due anni fa quando arrivarono fecero molto casino- spiega l’anziana, in attesa delle loro partenze. Prima di abbracciarli, quasi uno per uno, infilata nel furgoncino, aveva parlato dei lavoretti che avevano fatto nella sua terra, dei pranzi insieme la domenica. Un signore in bici, di passaggio, se la prende con gli italiani: «È colpa di chi li sfrutta, non colpa loro. Uno di questi ragazzi al lavoro viene pagato una miseria». Un’altra signora di passaggio, in auto, è sincera: «Alla fine ci eravamo abituati». Chi attraversa questa viuzza tra le campagne si ferma un attimo per capire che sta accadendo. «Se ne vanno? E come mai?». Altri credevano che ai proclami non seguissero i fatti. E invece, il decreto sicurezza è arrivato. Stroncando i sogni di chi studiava qui, imparando l’Italiano. Come lo studente universitario che andava a Napoli tutti i giorni. «E ora come farò», si chiede. Altri salutano, rispettosi, con gli occhi a disegnare una specie di punto interrogativo. Una brutta specie di domanda, che in realtà neanche vuole una risposta. I paesi di origine dei ragazzi comprendono Senegal, Nigeria, Togo, Bangladesh, Pakistan, Somalia. Tutti sono passati per la Libia, e molti ne portano i segni. Torture, detenzioni, botte, spostamenti di forza, sopraffazioni. In fondo questo è solo un trasferimento, l’ennesimo. «Non è niente», spiega uno di loro. «Torniamo, tutto bene, tutto ok». Il furgone carica tutti, con i loro bagagli e quel che resta dei sogni. Poi parte, frenato da Lucietta, la signora che li aspetta per fargli il suo omaggio. Un augurio. «Qua sono tutti contenti che se ne vanno – dice- Solo io piango».

Quindi, dobbiamo tenere in hotel bengalesi, pakistani e nigeriani perché alcuni disadattati




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