Sergio Bramini, imprenditore e simbolo della lotta contro l’arroganza dello Stato, ‘grazie’ ai ritardi nei pagamenti dello Stato ha perso la sua villa.
La casa era finita all’asta dopo la decisione del Tribunale fallimentare e nei giorni scorsi è stata venduta. A chi? A un acquirente cinese, F.Z., titolare di una catena di centri commerciali di Cassano D’Adda. Che con poco più di 500mila euro si è assicurato Villa Bramini.
Anche questa è sostituzione etnica. Facciamo entrare ‘imprenditori’ cinesi, che portano soldi all’estero e danno lavoro solo ai cinesi – schiavi cinesi – e facciamo fallire i nostri. Poi non ci spieghiamo perché le loro imprese aumentano e le nostre no.
Il prezzo iniziale era di 667mila euro, ma poi l’asta è andata deserta più volte e così il prezzo è sceso. Si tratta di una tenuta di lusso, con 30 stanze, piscina, un bel parco e ovviamente il box. Valore totale stimato: 1 milione e 500mila euro. Quindi il prezzo di vendita è un terzo del valore reale. Mica male.
Bramini si è ritrovato in fallimento perché la sua azienda, specializzata nel trattamento di rifiuti, non riceveva da tempo i pagamenti da parte delle pubbliche amministrazioni che avevano goduto del suo lavoro. Alla fine aveva accumulato qualcosa come 4 milioni di crediti a fronte di un fatturato da 5 milioni l’anno. I conti non hanno retto ed ha finito col fallire. Nonostante non dovesse fallire.
E pensare che la casa era stata ipotecata proprio nella speranza di salvare l’azienda dall’orlo del baratro: nel 2011 però combattere è diventato inutile e Bramini è stato costretto a portare i libri in Tribunale.
Ora, dopo ‘pressioni’, il cinese sembrerebbe disponibile a ritirarsi. Anzi, si era già ritirato.
Sul tavolo però era rimasta la busta con l’offerta da 500mila euro accettata dal curatore.
Ora dice di essere “pronto a tirarmi indietro, a patto però di non doverci rimettere la penale da 50mila euro che mi dicono sia prevista in casi simili”.