Cinghiate alla nipotina per farla elemosinare: 12 anni di carcere a rom

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Già a quattro anni veniva costretta a medicare in giro per Roma. Presa a cinghiate per imporle di farlo.

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E per oltre dieci anni è stata obbligata a stare davanti a un supermercato della Capitale a chiedere le elemosina. Poi sarebbe passata ai furti.

Ora i giudici della Corte d’Assise hanno condannato la responsabile per “riduzione in schiavitù”. E la responsabile è la nonna, Elena Zorel, condannata a scontare dodici anni di carcere. Non l’hanno passata liscia nemmeno la madre della bimba, Maria Costantin, e la zia, Mirela Lapadat.

Tutte ospiti del campo rom di via Candoni. Come se non si sapesse che i rom vivono di questua molesta e furti. Ma nessuno li sgombera.

Tutto ha inizio nel 2005 quando la nonna le dà un cartone in mano e la piazza a chiedere la carità davanti a un supermercato in via del Trullo. L’ordine è di stare lì seduta tutti i giorni.

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Quando si rifiuta, Elena Zorel la massacra di botte prendendola a cinghiate. La madre è presente e appoggia il trattamento. Nemmeno quando la nonna tira una coltellata alla nipotina. E, per questo, alla fine del processo è stata condannata a scontare un anno e otto mesi di carcere. Nemmeno due anni.

Nel processo a carico della nonna e e della madre della giovane, che oggi ha diciotto anni, la Corte d’Assise ha configurato il reato di “riduzione in schiavitù”.

Eppure Andrea Palmiero, l’avvocato che difende Elena Zorel, ribatte che “la valutazione della Corte paga la difficoltà a capire che la nostra cultura è diversa da quella dei rom”.

Appunto, fuori dai coglioni.