Kindu: quando i connazionali di Kyenge massacrarono 13 Italiani

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Oggi, 11 novembre, ricorre il 57esimo anniversario dell’eccidio di Kindu. Lì i ‘fratelli’ di Kyenge massacrarono tredici aviatori italiani.

CONGO

Quella maledetta mattina di sabato 11 novembre, del 1961, due aerei italiani decollarono dalla capitale del Congo, Leopoldville, per portare rifornimenti alla guarnigione malese dell’ONU che controllava l’aeroporto poco lontano da Kindu, ai margini della foresta equatoriale.

Si dovevano fermare a Kindu solo il tempo di scaricare e mangiare qualcosa. I due C-119 comparvero nel cielo della cittadina africana poco dopo le 14:00, e dopo aver fatto alcuni giri sopra l’abitato atterrarono all’aeroporto controllato dai malesi.

La vista dei due aerei italiani scatenò la furia africana. Alcune centinaia di militari e civili congolesi si precipitarono famelici all’aeroporto dove in quel momento i tredici uomini degli equipaggi italiani, comandati dal maggiore Parmeggiani, si trovavano alla mensa dell’ONU insieme a una decina di ufficiali del presidio malese. Fu una strage.

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Alle 16:15 la folla di congolesi fece irruzione. Gli 80 soldati congolesi sopraffecero rapidamente gli occupanti quasi tutti disarmati della palazzina e li malmenarono duramente, accanendosi in particolare contro gli italiani: bianchi, e quindi da massacrare.

Il tenente medico Francesco Paolo Remotti tentò di fuggire lanciandosi da una finestra aperta, ma fu rapidamente raggiunto dai congolesi e subito ucciso. Barbaramente ucciso.

Intorno alle 16:30 arrivarono altri 300 miliziani congolesi guidati dal comandante del presidio di Kindu, colonnello Pakassa: il comandante malese, maggiore Maud, tentò inutilmente di convincerlo che gli aviatori erano italiani dell’ONU e alle 16:50 i dodici italiani, costretti a trasportare con loro il corpo di Remotti, furono caricati a forza sui camion e portati in città, per poi essere rinchiusi nella prigione locale.

Quella notte, soldati congolesi fecero irruzione nella cella dove erano detenuti i dodici aviatori italiani e li uccisero tutti, a colpi di mitra. Perché erano bianchi.

Poi ne abbandonarono i corpi sul posto, alla folla famelica di carne bianca. E i poveri resti degli italiani furono oggetto di scempio da parte della popolazione locale.

I giornali scrissero, in articoli mai smentiti, che alcune parti del corpo smembrate furono vendute al mercato di Kindu, e che la gamba di un soldato italiano arrivò, avvolta in una foglia di banano, a un potente capo tribale per le nozze della figlia. Chissà, forse qualche pezzo di italiano giunse anche alla ‘sua’ famiglia.

Cinquantadue anni dopo, per ricordare l’eccidio, la Repubblica italiana ha nominato ministro una congolese. Non deve più accadere.