Quelli che ora sono centri di accoglienza dove i richiedenti asilo vengono sollazzati a spese degli italiani da chi si occupa del business dell’accoglienza, diventeranno centri di identificazione ed espulsione: è la svolta che smobilita la famigerata seconda accoglienza negli Sprar. Trasformando il ‘piano di colonizzazione’ in piano di espulsioni.
Al Viminale i funzionari sono già al lavoro per rivedere i termini di attuazione delle norme che regolano l’erogazione dei servizi per i richiedenti asilo e i rifugiati.
Si parla di 250 milioni che ad oggi venivano utilizzati demenziali progetti di inclusione e inserimento lavorativo, ovvero tirocini esclusivi per gli immigrati, e organizzazione di eventi per divertire i migranti come concerti e altro.
In questo bisiness a spese dei contribuenti sono impegnati circa 3mila degli 8mila comuni della penisola. Praticamente tutti quelli governati dal PD. Caso scuola quello di Riace, ripopolato a spese degli italiani da africani: pagati per vivere a Riace e fare finta di lavorare.
L’immigrato che verrà accolto e inserito nei progetti di accoglienza diffusa, d’ora in avanti, sarà soltanto quello che ha acquisito il titolo di rifugiato oppure ha passato una prima selezione tra i richiedenti asilo. Vale a dire i siriani, gli altri a casa.
Piuttosto che nei consessi destinati allo Sprar rimarranno ospiti delle strutture di prima accoglienza, i grandi centri Cas o Cara. Che diventeranno così centri di identificazione ed espulsione.
Questo disegno di revisione sistematica non piace alla maggioranza di coloro che negli ultimi anni si sono occupati del business dell’accoglienza diffusa.
E minacciano Matteo Salvini, esigendo dal premier Conte di bloccare l’approvazione del ‘decreto Pamela’.
Quando togli l’osso al cane, in questo caso grondante grasso, questo si ribella. Inevitabile.