Como: sgomberato campo Croce Rossa, Caritas protesta

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Settanta immigrati ospiti a spese dei contribuenti del famigerato centro di accoglienza della Croce Rossa a Como – noto per la presenza di stupratori – sono stati trasferiti nella mattina di martedì 11 settembre.

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Per ora non saranno espulsi: 30 saranno spostati a Bologna e 40 a Torino.

Una decisione che ha stupito la Caritas Diocesana, che da due anni collabora a spese dei contribuenti con la Croce Rossa che gestisce il campo su mandato della Prefettura.

Proteste dal direttore della Caritas Roberto Bernasconi con una nota ufficiale:

L’intervento di martedì mattina ci ha sorpreso e ci ha lasciato senza parole. In questi anni, con stile di solidarietà, lealtà e secondo il principio di sussidiarietà, abbiamo collaborato con tutte le istituzioni del territorio, a tutti i livelli, a prescindere dalle appartenenze politiche e nel rispetto delle competenze di ciascuno, perché a orientare ogni azione ci fossero sempre le “persone” e la loro dignità, soprattutto i più bisognosi e in difficoltà.

[…] nessuno di Caritas Como era stato informato dei trasferimenti decisi per questa mattina, se non attraverso una fuga di notizie.

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Non lo riteniamo un modus operandi corretto, guardando alla rete di reciproca collaborazione costruita negli anni.

Abbiamo visto, questa mattina, tante persone che, commosse, hanno caricato sui pullman i propri bagagli salutando, con affetto sincero, gli operatori del campo: significa che, pur in condizioni difficili e particolarissime, si è lavorato bene, restituendo alle persone quel senso di umanità che i tanti ostacoli affrontati avevano affievolito o cancellato.

Non abbiamo ancora ricevuto risposte circa le motivazioni alla base dei trasferimenti: ci auguriamo vadano in un’ottica di integrazione, secondo il principio delle accoglienze diffuse, che non creino tensioni e favoriscano l’inserimento nel tessuto sociale comunitario.

Non possiamo, poi, non esprimere perplessità e interrogativi circa il futuro del Campo: la sua chiusura non ci sembra un’emergenza per il territorio e restano aperte le domande sulle modalità di gestione delle prime accoglienze in caso di nuovi arrivi (che restano comunque possibili) o di riammissioni da parte dei Paesi europei (che comunque continuano a esserci).

Resta poi il nostro impegno a chiedere che gli iter amministrativi siano precisi e celeri (non superficiali) e che ci sia chiarezza sul futuro di tante persone che hanno completato, magari positivamente, il percorso per il riconoscimento del proprio status ma, a tutt’oggi, non ha certezze sul proprio domani, in Italia e in Europa.

Allora non avete capito: la pacchia è finita. Presto saranno imbarcati su aerei verso casa loro. Ripetiamolo, tutti insieme, in modo che la parola diventi realtà.