« …sei italiani equipaggiati con materiali di costo irrisorio hanno fatto vacillare l’equilibrio militare in Mediterraneo a vantaggio dell’Asse. »
(Winston Churchill)
Si tengono oggi i funerali di Emilio Bianchi, morto il 16 agosto a Torre del Lago (Lucca), dove abitava. Aveva 103 anni.
Era l’ultimo incursore in vita dell’impresa d’Alessandria. Un eroe di una guerra per la quale ci hanno insegnato a vergognarci.
Faceva parte degli incursori del sommergibile Scirè, comandato dal principe Valerio Borghese: 74 anni fa, nella notte tra il 18 e il 19 dicembre 1941, a cavalcioni di tre siluri “maiali” affondarono le corazzate inglesi Valiant e Queen Elizabeth e danneggiarono una petroliera.
In sei, con tre siluri, misero quasi in ginocchio la Marina di Sua Maestà, causando perdite durissime alla flotta inglese che riteneva impossibile violare il pesantissimo sistema di sicurezza approntato per difendere il porto.
Bianchi, capo palombaro, insieme al tenente di vascello Luigi Durand De La Penne, faceva parte dell’equipaggio che aveva avuto come bersaglio la Valiant, difesa anche da un complesso apparato di reti metalliche che gli incursori dovettero tagliare o superare sfruttando la scia delle navi inglesi e manovrando i ‘maiali’ a propulsione elettrica, la cui prua era costituita da una carica di 600 kg di esplosivo dotata di un sistema a orologeria e di un potente magnete. Così potente che gli incursori, esausti, nel buio del fondale, dovevano rallentarla a forza di braccia perché non facesse rumore quando si attaccava alle fiancate delle navi dalle quali era fortemente attratta nell’ultima fase dell’applicazione. Ogni suono, nel silenzio della notte, li avrebbe traditi.
Bianchi venne scoperto e catturato quando fu costretto a riemergere nei pressi della corazzata per intossicazione di ossigeno causata dalla lunghezza della missione: oltre cinque ore in fondo al mare. Intanto De la Penne riuscì a completare la sistemazione della carica venendo tirato a bordo poco dopo dalla furibonda e incredula sorveglianza inglese.
Lui e De La Penne, interrogati con decisione, non rivelarono dove avevano applicato la cariche esplosive magnetiche e gli inglesi, per costringerli a parlare, li rinchiusero nel ponte più basso della corazzata condannandoli così a morte sicura. Neppure davanti a ciò i due parlarono. Poco prima della detonazione, De La Penne chiamò tuttavia il comandante della corazzata: “Mi creda, è meglio che evacui la nave”. Un atteggiamento che permise di salvare numerose vite: si contarono infatti solo 8 inglesi morti. E che gli guadagnarono il rispetto del nemico.
La corazzata, sventrata dalla carica, si adagiò sul fondo del porto in modo tale che la zona assai sotto il pelo dell’acqua, dove i due erano richiusi, non si allagò. De La Penne riportò solo una lieve ferita alla testa.
Dopo Bianchi, volontario in Marina dal 1932 e quindi palombaro incursore nella XMas, e De La Penne, tenente di vascello, anche gli altri quattro palombari incursori vennero via via catturati: trascorsero il resto della guerra in prigionia. Dopo il conflitto l’impresa valse loro anche riconoscimento anche da parte della Marina inglese che pure, per colpa di quella sconfitta tenuta segreta con mille espedienti, fu costretta ad allentare la pressione sui convogli italiani diretti in Nord Africa. Tanti marinai devono la vita ai sei incursori di Alessandria. La provvisoria supremazia navale nel Mediterraneo dovuta all’impresa non venne tuttavia sfruttata dal comando italiano.
In quella guerra mancò fortuna, non il valore. E gli Alleati vinsero solo perché l’America era lontana e permetteva una infinita riserva di risorse materiali impossibili da colpire da mandare al fronte.