La Procura di Milano chiede l’archiviazione dell’inchiesta perché dalle indagini della squadra mobile di Milano e coordinate dal pm Gianluca Prisco, non è stato raccolto «alcun elemento utile per l’individuazione dell’aggressore».
Insomma, si è violentata da sola l’italiana 81enne che il 30 agosto dell’anno scorso, subì uno stupro in un parco milanese.
Dagli accertamenti è emersa infatti sì una traccia genetica maschile, ma le comparazioni con altri Dna presenti nella banca dati non hanno dato risultati. L’assenza di telecamere di sorveglianza nella zona ha fatto il resto.
Eppure raccontò: «Ho visto un giovane sui 30-35 anni, straniero – racconterà la donna agli investigatori -. Aveva un cappello nero, maglietta e pantaloni sempre neri. Pelle scura. Non era vestito di stracci, era pulito. In un primo tempo si è mostrato gentile, poi mi ha trascinato per alcuni metri in un’area più isolata, puntandomi un coltello alla gola prima di abusare di me». Inutile il disperato tentativo della donna di chiedere aiuto perché in quel momento, non c’erano passanti.
La violenza era stata poi collegata ad altri casi di stupri e aggressioni varie, rimasti tutti senza un colpevole, avvenuti in quel periodo nella zona a nord di Milano, in particolare tra Niguarda e Affori e culminati il 23 novembre scorso con l’omicidio (ma stavolta l’ipotesi più accreditata resta quella della rapina finita male, ndr) della 67enne Marilena «Ella» Negri, accoltellata alla gola all’alba nel parco di Villa Litta, mentre portava a spasso il cane, da un malvivente che non è mai stato catturato.
Senza nome anche lo stupratore che qualche giorno prima dell’omicidio della Negri, il 13 novembre, aveva violentato una ragazza peruviana di 21 anni poco lontano da lì, in via Majorana, nell’area di parcheggio all’uscita del pronto soccorso del Niguarda, dove la sudamericana stava partecipando come comparsa a una fiction televisiva. All’improvviso la giovane donna venne aggredita da un uomo lei lo descriverà ai carabinieri come «presumibilmente originario dell’Est Europa» che la trascinò in un parchetto al di là della pista ciclabile lungo il perimetro dell’ospedale: prima lo sconosciuto le rapinò il cellulare, poi ci fu lo stupro. Lei – impietrita, terrorizzata da un coltello puntato alla base del collo per impedirle di urlare – dopo l’aggressione e la fuga del bruto in bicicletta, si rivestì e tornò in ospedale per chiedere aiuto.
C’è il Dna, dal Dna si può risalire se non, ancora, ad un identikit completo, comunque alla provenienza etnica del delinquente. E poi restringere ulteriormente il campo.
Ma non è politicamente corretto.
Comunque chiedere l’archiviazione per un caso di stupro dà l’idea agli stupratori che possono farla franca, questo è intollerabile.