C’è nome e identikit del capobranco dei bengalesi: “Incrociare i suoi occhi era puro terrore”

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C’è il nome e l’identikit del capo branco degli stupratori bengalesi: capelli corvini, folti, una specie di ciuffetto riccio sulla fronte, non molto alto e fisico mingherlino.

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E’ lui l’immigrato che ha guidato le bestie durante lo stupro di Roma, quando giovedì notte insieme con tre amici, tutti ubriachi, si è avventato sulla povera donna di 44 anni, trascinandola nella vecchia Panda fin sotto il cavalcavia della bretella Fiano-San Cesareo al confine tra Roma e Guidonia: per stuprarla in gruppo.

L’immigrato indossava una t-shirt bianca e pantaloncini corti. «Quel suo sguardo cattivo non lo dimenticherò più. Incrociare i suoi occhi era puro terrore…». Ha detto la vittima.

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«Quella bestia mi mordeva le labbra, il volto, le braccia, dietro le spalle, sulle gambe, sembrava un leone famelico, puzzava di birra; io vomitavo, ma a lui non importava, bestemmiava, mi diceva: “Vomita pure, tanto t’ammazzo”.

È durante il viaggio che il capobranco le ha raccontato di essere “in Italia da nove anni” e di fare il meccanico. Le spiega anche che “la Panda ha uno sportello rotto perché devo finire di ripararla per un cliente”. “Mentre guidava come un pazzo, per cercare di sfuggire alla trappola – ha raccontato la donna – ho cercato di parlarci un po’, gli ho chiesto come si chiamasse, ho bluffato dicendogli che ero sposata e avevo figli, ma non gli importava, e allora per convincerlo a farmi scendere gli ho detto pure mi prendo il tuo numero, anzi guarda, ti do il mio, non ti prendo in giro, così ci vediamo domani”. Forse è un caso ma sabato ha ricevuto tre chiamate da un numero sconosciuto. “Dall’altra parte – ha continuato – c’era qualcuno ma non parlava e riattaccava. Temo fosse lui…”.