Tom Wolfe e l’ultimo libro contro la società multietnica: “Le Ragioni del Sangue”

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Oggi è morto uno dei più grandi scrittori americani, Tom Wolfe. Vogliamo ricordarlo con un nostro articolo a lui dedicato per l’uscita del suo libro “Le Ragioni del Sangue”:

“Le ragioni del sangue”: Come il melting pot devasta una società

Titolo della versione italiana del suo libro “Ritorno al Sangue”.

Sono passati ormai più di 40 anni da quando Tom Wolfe, per definire la ‘sinistra al caviale’ della Grande Mela,  coniò l’espressione ‘radical chic’. Espressione  che presto si sarebbe diffusa anche in Europa, ottima com’è per definire la deriva libertaria ( libertina) della sinistra occidentale; la deriva che da decenni ha definitivamente sostituito i valori ‘progressisti’ ai valori socialisti.

Oggi, Tom Wolfe torna, ironico e dissacrante come sempre, con un romanzo che è in realtà uno sguardo cinico e spietato alla Miami dei giorni nostri: Back to Blood; che La Mondadori in italiano ha reso come: ‘Le ragioni del sangue’, ma che in originale risulta ancor più incisivo:” Tornare al sangue”.

La Miami del III millennio, è un crogiolo di razze e etnie, il sogno dei radical chic di cui sopra. Ma c’è un ‘piccolo’ problema: l’integrazione-dannazione-non funziona affatto. Manca ogni ipotesi di convivenza, figuriamoci quanto fascino eserciti lo Stato. Non c’è collante ideologico né religioso che tenga. Tutto è frammentato.

Miami è la città senza democrazia e identità, in cui gente straniera, che parla una lingua straniera e ostenta una cultura straniera, ha preso, in modo legittimo, il potere e il controllo delle istituzioni.

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L”idilliaco’ melting pot americano, è in realtà uno spietato ‘multi-razzismo’, dove- come fa dire Wolfe a uno dei suoi personaggi-‘tutti odiano tutti’, e le varie comunità etniche sono molto lontane tra loro, nonostante vivano l’una accanto all’altra. Domina il richiamo del sangue, e l’appartenenza all’etnia si fa ghetto. La città si avvita in un percorso ( l’ennesimo) di impoverimento, dal momento che non c’è  preoccupazione per la stessa, né per la scalata sociale; quello che importa è invece pensare agli interessi della propria comunità, e ad accrescere nel proprio ghetto. E se le risorse calano, il conflitto tra le etnie si può solo fare più intenso e violento.

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In questo crudo contesto ‘underground’, fatto di identità senza memoria, si intrecciano storie che dovrebbero essere, ma purtroppo non lo sono più, paradossali. Come quanto accade al protagonista: il poliziotto di origine cubana Nestor Camacho. Nestor un giorno fa quello che ogni poliziotto vorrebbe fare almeno una volta nella carriera: salva una vita. Un clandestino che fuggiva da Cuba, ma che ora è salvato da un probabile naufragio. Si aspetta di divenire un eroe della città dell’accoglienza e della sua comunità, ma le  contraddizioni delle stesse norme buoniste dell’Occidente, hanno in serbo per lui un brutto tiro mancino. Il clandestino, infatti, adesso rischia arresto e rimpatrio, mentre se fosse riuscito a toccare terra, avrebbe avuto immediatamente riconosciuto lo status di rifugiato.

E’ la fine per Nestor. La famiglia gli volta le spalle, e neppure può cercare rifugio nella comunità cubana, per la quale in fondo, lui è un mezzo estraneo: mai stato a Cuba, e nemmeno parla lo spagnolo.
Attraverso Nestor, si passa poi a Ghislaine, immigrata haitiana di seconda generazione, ma che si spaccia per francese ‘purosangue’, come il padre. Ghislaine ha però un fratello, che rivendica vivacemente la sua identità, e si mischia con le gang afroamericane.

Ci sono poi le gesta tutt’altro che eroiche della polizia cubana, che non riesce ad imporre la propria autorità.

Valgono difatti le regole della propria ‘piccola patria’, e non quelle della Legge; sindaco e forze dell’ordine non hanno le mani libere, e devono cedere ai ricatti delle comunità che hanno il controllo sul territorio.

A fare da cornice, coloro che sono in realtà i più tristi e soli: i bianchi anglosassoni, che non hanno neanche un ghetto in cui rifugiarsi. Gli unici a cui non funziona neppure più il “richiamo del sangue”, e che vivono ormai di ‘rendita’, rinchiusi nei propri palazzi, più o meno ‘dorati’. Alienati da ciò che hanno intorno, si credono ancora in perfetta  forma e in grado di gestire tutto: ma sono solo degli ‘zombie’, che a stento camminano.

E alla fine di ciò, si leva alta una domanda:” E’ davvero questo il modello di città del futuro”?