Ora i vescovi vogliono vietarci di chiamare clandestini i clandestini

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I vescovi invitano a non chiamare gli immigrati «extracomunitari» o «clandestini», perché «termini denigratori». l

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È quanto scrive la Cemi, commissione episcopale della Cei per le migrazioni.

Che poi, in un momento di lucidità, scrive: «Riconosciamo che esistono dei limiti nell’accoglienza».

«Al di là di quelli dettati dall’egoismo, dall’individualismo di chi si rinchiude nel proprio benessere, da una economia e da una politica che non riconosce la persona nella sua integralità – premette il documento Cei – esistono limiti imposti da una reale possibilità di offrire condizioni abitative, di lavoro e di vita dignitose».

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Infatti i vescovi non vivono nel benessere. E da quando, godersi il frutto del proprio lavoro è un male? Questa versione pauperista del Cristianesimo è una minaccia alla Civiltà occidentale.

Inoltre, proseguono: «siamo consapevoli che il periodo di crisi che sta ancora attraversando il nostro Paese rende più difficile l’accoglienza, perché l’altro è visto come un concorrente e non come un’opportunità per un rinnovamento sociale e spirituale e una risorsa per la stessa crescita del Paese».

Un bel ‘rinnovamento sociale’ trasformarsi in Africa senza le risorse dell’Africa.

La Cei chiede alla politica azioni forti contro i trafficanti di uomini e riconosce anche che «il primo diritto è quello di non dover essere costretti a lasciare la propria terra». «Per questo appare ancora più urgente impegnarsi anche nei Paesi di origine dei migranti, per porre rimedio ad alcuni dei fattori che ne motivano la partenza e per ridurre la forte disuguaglianza economica e sociale oggi esistente».

I fatto che ne motivano la partenza sono il miglioramento delle condizioni di vita. Non la povertà. Partono i figli della classe medio alta, che vedono in televisione un eldorado che non esiste. E lo vogliono.