Ue invia in Italia 500 profughi: 4 milioni per mantenerli

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Non bastano i circa 200 mila che ospitiamo in hotel:

Quasi 200mila immigrati in hotel, spesa sfonda i 5 miliardi di euro!

Ricordate la questione dei riccollocamenti dei clandestini sbarcati in Italia verso altri Paesi Ue? Scordatela. E’ la Ue a ricollocare clandestini in Italia!

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Circa 500 negli ultimi mesi inviati in Italia per il reinsediamento. Resettlement è il termine preciso. Sono i ‘corridoi umanitari’ targati Ue che si sommano a quelli targati Vaticano che porteranno in Italia migliaia di sedicenti profughi.

Un ulteriore costo di 3 milioni e 870 mila euro. Per mantenerli in hotel. Nuovi soldi che si andranno a sommare agli oltre 5 miliardi messi a disposizione per il sollazzo dei 200mila fancazzisti.

È l’inclusione socio economica personalizzata l’ultimo pallino del dipartimento Libertà civili e immigrazione che fa capo al ministero dell’Interno: perché li hanno traghettati per sostituirci, non perché fuggano da guerre.

Il governo in scadenza e ridotto ormai a un fil di fiato ha chiesto a cooperative, enti benefici, onlus ma anche a ong e consorzi sociali di mettere in piedi progetti per attivare percorsi biennali e aiutare gli immigrati a intraprendere anche proprie iniziative imprenditoriali.

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Per cominciare le esigenze sono minime: 7 aziende al Sud, impegnando 2 milioni e 320 mila euro per un bacino di 300 stranieri, 5 al Centro Nord, indirizzate ad altri 200, per un totale di 1 milione 550 mila euro. Questi soldi verranno impiegati anche per l’inserimento abitativo come sussidi economici utili per l’affitto, per l’inserimento scolastico e formativo dei giovani, la riqualificazione professionale. All’occorrenza e in caso di particolari carenze linguistiche dei richiedenti asilo saranno previsti addirittura corsi di lingua italiana personalizzati. Il Viminale infine si prefigge anche di monitorare i risultati prodotti: fino a oggi però ogni azione ha rivelato il frutto di enormi fallimenti contando che per attività imprenditoriali si intendono spesso negozi di ortofrutta o piccoli market senza le opportune certificazioni di qualità. Questo accade soprattutto all’interno delle reti Sprar (Servizi protezione richiedenti asilo e rifugiati) dislocate nelle diverse province. Ed ecco che, quasi come un’ossessione, proprio nelle collettività locali partono le corse ai progetti di inserimento socio economico.