E’ stupefacente che un paese governato da un manipolo di non-eletti imposto all’Italia da oscure élites finanziarie, “festeggi” un giorno che, alcuni ma non tutti, considerano di “liberazione” dalla dittatura.
Forse non viviamo in un’epoca a-democratica? Forse è “dittatura”, solo quando il capo del governo si affaccia da un balcone indossando una divisa e non, quando la mezza figura d’un mediocre politicante deruba il popolo della propria identità, traghettando famelici clandestini nelle sue strade, nelle sue case?
Oggi, come ogni anno, si trascinerà la solita pantomima dei “liberatori” in doppiopetto gracchianti parole insulse e vuote. Come ogni anno, marceranno i “partigiani” che partigiani non sono mai stati, a meno di precoci, e improbabili, guerriglieri “novenni”.
Come ogni anno, le inutili parole dell’ultimo dei mohicani, quel privilegiato che vive sul colle più alto di Roma, attraverseranno l’etere per perdersi e non essere, da nessuno, ricordate.
I nuovi schiavi, senza tema di ridicolo, celebreranno la festa della liberazione, in cattività. Schiavi delle banche, schiavi dell’euro, schiavi di poteri che neanche comprendono.
Festeggiano, quando invece, ora, è tempo di combattere. Non di celebrare vuoti riti. Combattere, come avrebbero combattuto quei partigiani e quei fascisti che, in entrambi i casi, erano convinti di farlo per il bene dell’Italia.
Il 25 Aprile non è mai stata una festa, non si festeggia quando fratelli combattono i fratelli.
E il 25 Aprile non è mai stata una festa anche perché siamo usciti da una gabbia per entrare in una gabbia più grande e sfavillante, ma pur sempre una gabbia: quella “americana”. E dopo quasi un secolo, le basi dei “liberatori” sono ancora qui.