Nigeriana ottiene Asilo in Italia perché racconta una storia

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Proseguono le sentenze deliranti della magistratura italiana. Dopo il bengalese accolto come ‘profugo ambientale’ perché in Bangladesh piove, ecco la nigeriana che ottiene asilo perché batteva, contro la sua volontà, ovviamente.

La donna, patrocinata dallo Studio dell’avvocato Carmelo Picciotto ha ottenuto infatti dal Tribunale di Messina con ordinanza del 23/02/18 nel proc. n. 4838/17 RG la protezione internazionale a seguito dell’impugnazione del diniego. Fanno appello con i soldi nostri, foraggiano i vari Picciotti, e grazie a magistrati rossi ottengono asilo.

Basta inventarsi una storia, che nessuno, ovviamente, può controllare. La nigeriana, infatti, ha dichiarato di

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“….aver lasciato la Nigeria per volontà della madre a seguito dello stupro del padre nei confronti di una sua amica, per evitare rappresaglie nei suoi confronti da parte dei fratelli della ragazza violentata. Prima di questo episodio era stata lei vittima di uno stupro ad opera di due ragazzi. Insomma la madre l’affidò ad una zia, che doveva nasconderla da un’amica: ma non raggiunse mai la meta, perchè l’uomo a cui era stata affidata l’abbandonò per strada dove passando di persona in persona fu condotta fino in Libia. Una storia che conferma quanto emerso dalla relazione dell’Easo-Coi-Nigeria del 2015 secondo cui la maggior parte delle vittime di tratta viene da Benin City, capitale dello stato di Edo nella Nigeria meridionale”.

Una puntata di Beautiful. Nemmeno un mononuronico crederebbe alla storiella di una ‘nigeriana che passata di persona in persona fu condotta in Libia’.

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Quindi, secondo il magistrato, che ha finto di bersi la storia senza poterla controllare: “La donna, appartiene senz’altro ad un particolare gruppo sociale più vulnerabile rispetto ai predetti atti persecutori, ma tale vulnerabilità risulta ulteriormente accresciuta dal quadro normativo ed istituzionale nigeriano che pur prevedendo forme di tutela a favore delle vittime di tratta, si reputa che tali misure, vista anche l’incidenza e l’estensione del fenomeno nel Paese, non possono essere assicurate con certezza ed efficacia tali da scongiurale il rischio sopra rappresentato.”

Perché un magistrato può permettersi di sentenziare in base al mero racconto inventato di una clandestina?