Val di Zoldo, 3.000 abitanti e 1.600 ‘immigrati’ brasiliani

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Tremila abitanti più 1.600 presunti emigranti di ritorno dal Brasile. Che restano lì il tempo necessario per ottenere la cittadinanza italiana dei loro avi (presunti) e poi se ne vanno.

Camillo De Pellegrin , sindaco di Val di Zoldo, zona delle Dolomiti bellunesi mette sotto i riflettori lo strano (e sospetto) fenomeno che sta investendo la sua comunità: a cadenza regolare si presenta negli uffici dell’anagrafe un factotum (quasi sempre lo stesso), chiede che venga data la cittadinanza italiana a gruppi di brasiliani i quali sostengono di avere antenati veneti. E in forza di una circolare ministeriale del 2007 il sindaco la deve concedere perché i brasiliani presentano effettivamente documenti che attestano il loro sangue italiano. Ma sono tutti autentici? «Mi auguro di sì – afferma il sindaco De Pellegrin – anche se quasi tutti questi immigrati non sanno una parola di italiano e non sanno dire nemmeno chi siano di preciso i loro avi. Pochi giorni fa ho ricevuto una mail in cui vengo avvertito che in Brasile c’è chi “fabbrica” quel tipo di documenti. Io ho già girato la mail alla questura di Belluno…»

I numeri sono in effetti impressionanti: ormai un abitante su quattro di val di Zoldo fa parte di questa ondata migratoria. Ma solo in teoria, come vedremo. L’origine di tutto è un provvedimento del Viminale risalente al 2007 e riguardante il cosiddetto «iure sanguinis»: la circolare apre una sorta di «canale preferenziale» per gli immigrati extracomunitari di discendenza italiana. Possono riottenere la cittadinanza originaria presentandosi in un comune ed esibendo carte che attestano la loro parentela. A questo punto cosa accade? L’immigrato «di ritorno» arriva in Italia con un visto turistico, chiede la residenza al comune a cui si è rivolto e attende la regolarizzazione come cittadino italiano. Che arriva in genere nel giro di qualche mese.

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«Se esistono persone in Brasile originarie di queste parti – chiarisce De Pellegrin – che vogliono tornare nelle loro terre d’origine, lavorare, ripopolarle, le nostre porte sono aperte, questo deve essere ben chiaro. Ma qui assistiamo a qualcosa di molto diverso: la stragrande maggioranza dei brasiliani che arrivano qui, una volta ottenuta la residenza spariscono, vanno chissà dove. Anche perché a quel punto la legge consente loro di muoversi ovunque. Mi è capitato di parlare con qualcuno di loro, ma non sapevano nulla del luogo in cui erano arrivati, non sapevano chi fossero i loro antenati». Il quesito è: queste persone hanno tutte diritto a rimettersi in tasca un passaporto italiano? «Stando alle carte che ci sottopongono sì – dice ancora il sindaco di Val di Zoldo – an che se ho girato alle autorità competenti la segnalazione che ci metteva in guardia sul fatto che in Brasile c’è chi fabbrica documenti falsi».

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Non solo Val di Zoldo è investito da questa andata:accade lo stesso in altri comuni del Bellunese, nella Marche, in altre zone d’Italia che nei secoli passati hanno visto molti loro figli andare a cercare fortuna in Brasile. Il flusso però è organizzato: dall’altra parte dell’Oceano ci sono ormai agenzie che sbrigano l’intera pratica per il rientro, procurano le carte, il biglietto aereo, mandano un loro emissario ad accompagnare i loro clienti al comune di destinazione in Italia.’

Urge una legge del ritorno sul modello di quella israeliana. L’Italia ha una ricchezza umana in giro per il mondo. Dobbiamo fare di tutto perché il più possibile degli ‘italiani di sangue’ tornino a casa. Ovviamente i media di distrazione di massa preferiscono un africano che parla italiano rispetto ad un nipote di italiani che parla portoghese. Il che è folle.

Se abbiamo bisogno di immigrati, e non ne abbiamo bisogno, allora facciamo tornare i nostri. Ovviamente la legge del ritorno deve prevedere che chi riprende la cittadinanza dei propri avi deve vivere in Italia ed essere effettivamente discendente di italiani.