Chiesa incassa 1,8 miliardi dallo Stato per ospitare 18mila profughi

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Chiamatela ‘Mafia vaticana’, se volete: tanto incassa la Chiesa ‘italiana’ utilizzando le proprie strutture come hotel per fancazzisti

I vescovi parlano. Ma per loro, i sedicenti profughi sono un business: un lucroso business.
A documentarlo sono i dati dell’ultimo rapporto della Carita$ sulla “Protezione internazionale in Italia“.

Ebbene, secondo questo rapporto, il 17% degli stranieri accolti in Italia sono ospitati da strutture della Chiesa. Parliamo di almeno 23.201 immigrati che risultano nelle strutture religiose. Di questi, 4.929 mangiano grazie a fondi ecclesiastici o donazioni, ovvero l’8 per mille. I restanti 18.272 (il 79%) sono invece accolti a spese dei contribuenti: 35€ per ogni presunto profugo.

Il Def (Documento di economia e finanza) parla invece di 1,8 miliardi dati alle confessioni religiose, principalmente la Chiesa, alla voce “Missione 27”. Capitolo che l’Ufficio bilancio del Senato cita in cima alle spese per l’accoglienza. Per un solo anno.

A far man bassa di appalti sono le diocesi e la Caritas. L’ente della Cei compare come aggiudicatario in almeno 26 diverse prefetture attraverso le sue diramazioni locali o le fondazioni direttamente controllate. Sondrio, Latina, Pavia, Terni e via dicendo per un importo ben oltre i 30 milioni di euro l’anno. I dati risalgono a tutto il 2016: tra le più ricche la Caritas di Udine, con i suoi 2,7 milioni di euro. Poi la Mondo Nuovo Caritas di La Spezia (1,7 milioni) e infine quella di Firenze (664mila euro). Un capitolo a parte lo merita Cremona, città che ha dato i natali a Monsignor Gian Carlo Perego, direttore Generale di Migrantes (l’ufficio per le migrazioni della Cei). Qui la Chiesa ha fatto bottino pieno: oltre 3 milioni di euro alla diocesi cittadina e 1,6 milioni assegnati alla gemella di Crema. L’attuale vescovo di Ferrara, soprannominato “il prelato dei profughi”, quando guidava la Caritas cremonese lasciò in eredità la cooperativa “Servizi per l’accoglienza” degli immigrati. Coop che ovviamente non si è fatta sfuggire 1,2 milioni di euro di finanziamento nel circuito Cas e altri 2,4 milioni per la rete Sprar 2014/2016 da spartire con altre due associazioni.

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Al centro del business c’è la Caritas, intorno a cui ruotano decine di cooperative nate in seno alle diocesi e operative su suo mandato. Spiccano tra le altre la Diakonia onlus di Bergamo, che ha incassato 8,1 milioni. Oppure la Intrecci Coop di Milano, con i suoi 1,2 milioni di euro per l’accoglienza straordinaria a Varese. Dove non arriva la curia ci pensano i seminari, le parrocchie, gli ordini religiosi e le fondazioni. Come la “Madonna dei bambini del villaggio del ragazzo”, che l’anno scorso ha festeggiato l’assegnazione di 1,5 milioni di euro.

A poca distanza dal cuore del sistema si posizionano invece centinaia di associazioni che si richiamano a vario titolo alla dottrina sociale della Chiesa. Qualche esempio? Tra un coro dello Zecchino d’Oro e l’altro, la Antoniano onlus di Bologna ha accolto pure un gruppo di migranti. E con il sottofondo del “Piccolo coro” si è vista liquidare 129mila euro in un anno.

E ancora la cooperativa Edu-Care di Torino (2,6 milioni assegnati), la San Benedetto al Porto di Genova (fondata dal prete “rosso” Don Gallo), le Acli e via dicendo. L’elenco è sconfinato.

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Al banchetto caritatevole partecipano tutte, dalle coop citate nelle carte di Mafia Capitale fino ad arrivare alla diffusa rete delle Misericordie d’Italia. Che sono un’altra emanazione della Chiesa. La sezione più famosa è quella che gestisce il Cara di Isola di Capo Rizzuto, finito nella bufera perché gestito in accordo con la ‘ndrangheta.

Ma le maglie della Venerabile Confraternita sono fitte e le sue affiliate non si fermano in Calabria. Alcune sezioni controllano diversi Cas tra Arezzo, Firenze, Ascoli, Pisa (e non solo). In Toscana l’introito complessivo per il 2016 è succulento: 6,2 milioni di euro. E pensare che nel vademecum dei vescovi c’è scritto che l’ospitalità può essere anche “un gesto gratuito”. Può, ma non è.