Carne fresca: dai centri libici alle strade italiane della prostituzione gay

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Con le caviglie scavate da due solchi circolari, come se qualcuno si fosse diverto a incidergli la carne con un coltello, se ne andava in giro per Torino barcollando come un vecchio oppresso dagli anni. Lo ha trovato una volontaria della Croce Rossa, in una via di periferia, appoggiato alla cancellata di una casa. Quello era il suo aspetto, malgrado i suoi vent’anni, nato negli altipiani a Nord del Mali. Con diffidenza si è lasciato soccorrere. Poi, quando si è sentito al sicuro, ha svelato l’origine di quelle ferite. «Mi hanno tenuto incatenato per settimane, in una casa in Libia. I ferri erano così stretti che mi hanno consumato la carne. Ogni tanto le ferite si riaprono e non riesco a camminare. Sono stato anch’io nel “ghetto”. Pensavo di morire là dentro».

Il «ghetto» è un luogo a Sud-Est della Libia, è dove i trafficanti raccolgono la merce umana prima di affidarla ai trafficanti umanitari delle Ong. Uomini da una parte, donne dall’altra, sempre più giovani. A volte bambine. Tutti destinati alla prostituzione. Prostituzione anche maschile, non solo femminile. Sono per lo più nigeriani, o dell’area occidentale dell’Africa.

Gli investigatori della squadra Anti Tratta, gruppo specializzato della procura di Torino, hanno raccolto segnalazioni su un fenomeno che si sta radicando anche in Piemonte, ma già emerso in altre regioni del Nord Italia, come in Friuli. È una nuova forma di tratta, dove la «merce» è composta da ragazzi, dai loro corpi. Nella provincia torinese sono emersi casi segnalati casi nei centri di accoglienza.

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I clandestini nigeriani vengono prelevati da uomini libici per essere abusati: ‘preparati’. «Stanno via tre o quattro giorni e poi vengono riportati indietro per essere scambiati con i nuovi arrivi» dicono gli operatori. Un preludio, per alcuni, di quello che faranno in Italia. Carne fresca per il mercato omosessuale. «Il guaio è che gli uomini non hanno il coraggio di denunciare gli abusi» affermano gli investigatori.

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L’altro filone, si cui si è concentrata l’attenzione della procura, è la diffusione dell’accattonaggio di strada. Una rete organizzata: ogni profugo ha il suo angolo di città. Sono sempre più violenti e rispondono ad una organizzazione centralizzata.

Per le donne che si prostituiscono, hanno svelato numerose indagini, spesso originate dai racconti delle giovani vittime nigeriane, il prezzo del riscatto è in genere di 30 mila euro. Cifra che comprende il prezzo del viaggio, del «soggiorno» a Tripoli – che può durare anche mesi – e della traversata. Del prezzo che viene richiesto ai ragazzi non c’è un dato certo. Su un punto non c’è dubbio però: «il fenomeno della tratta di esseri umani che ha investito da tempo l’Italia – scrivono in più relazioni gli esperti – negli ultimi anni continua a trasformarsi, in un contesto internazionale in rapida evoluzione».

Eppure, per stroncare l’osceno business sarebbe sufficiente smettere di traghettarli. Ma chi ci dice che la mafia nigeriana non sia tra i finanziatori occulti delle Ong?