Olanda, partiti islamici sfidano Wilders: voto etnico

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La società multietnica è conflittuale. Quella olandese, costruita a partire dagli anni ’50, non sfugge. E’ in crisi da almeno due decenni, frammentata tra la normale spinta nazionalista che esalta i valori tradizionali dell’Olanda bianca, non fosse altro perché sono a casa loro, e quella costruita dagli immigrati e dai loro discendenti che condivide con gli autoctoni solo lo spazio geografico. E nemmeno del tutto, vista la frammentazione in ghetti delle città.

E cosi i turchi, i marocchini, gli antillani e i surinamesi politicamente attivi, a lungo cooptati nei partiti olandesi tradizionali, soprattutto in quelli a sinistra, non si riconoscono più in quei valori. Le nuove generazioni hanno superato il desiderio di integrazione che era dei loro padri e nonni e pretendono: da cittadini nati e cresciuti nei Paesi Bassi non intendono più integrarsi nella società olandese, ma crearne una nuova. Imporre la loro identità.

La sfida multietnica su scala nazionale lanciata dall’altra Olanda all’identitarismo della maggioranza ha inizio in una data precisa: il 13 novembre 2014 con l’espulsione di due deputati turco-olandesi dal Pvda, il Partito laburista. Selcuk Ozturk e Tuhnan Kuzu – il primo nato ad Büyükkışla, nel cuore della Turchia rurale, l’altro ad Istanbul – vennero cacciati proprio per conflitti sui loro rapporti con Ankara. E così fiutando timori e malcontento delle minoranze, soprattutto di quella musulmana, i due avevano capito fosse giunta l’ora di dare un volto al voto allochtoon, ossia al voto degli olandesi di origine straniera. Quelli con la cittadinanza per ius soli.

Di li a poco fondarono Denk e la loro campagna tra kebab shop, macellerie halal e mercati rionali è riuscita nell’impresa di agguantare tre seggi alle politiche del 2017, aprendo per la prima volta le porte di un parlamento d’Europa a un partito multietnico, con agenda interamente focalizzata sulle minoranze. Insieme a loro è approdato a l’Aja anche Farid Azarkan, nato a Rabat ed ex presidente dell’associazione marocchina d’Olanda.

Il programma del partito? Dalla parte degli invasori, ovviamente: dalla psicopolizia antidiscriminazione che arresti gli olandesi, quelli veri, contrari all’invasione, l’agenda di Denk parla soprattutto ai giovani di origine turca o nordafricana, infastiditi dalle campagne identitarie di Wilders.

Ma il successo di Denk non è caduto dal cielo: nei consigli comunali di alcune grandi città sono da tempo tre i partiti di ispirazione musulmana. Rotterdam è già nota per il sindaco Ahmed Aboutaleb – nato in Marocco – meno per il partito Nida, che prende il nome da un’espressione del Corano e che ha visto eleggere nel 2014 due consiglieri. Il leader è Nourdin el Douali e il suo è un movimento centrista di ispirazione islamica, sul modello dei partiti cristiano-democratici.

A l’Aja, sede del governo e di 150 organizzazioni internazionali, i partiti islamici in consiglio comunale sono addirittura due: il Partij van de Eenheid (Partito dell’Unità), in consiglio dal 2014 con un seggio, e Islam Democraten (Democratici dell’Islam) che occupa due scranni dal 2010.

Entrambi i movimenti si ispirano alla dottrina sociale e comunitaria dell’islam e raccolgono voti soprattutto nel quartiere musulmano di Schilderswijk, considerato da molti la Molenbeek d’Olanda.

Il 21 marzo prossimo verranno rinnovati i consigli comunali del Paese e mai prima d’ora la sfida locale aveva attirato tanta attenzione: le minoranze sono localizzate nei grandi centri e, se ciò rappresenta un ostacolo oggettivo per la corsa al parlamento, le assemblee cittadine hanno dimostrato di essere palchi più accessibili per le formazioni etnico-identitarie.Questo darà vita a vere e proprie enclave che, prima o poi, esigeranno se non l’indipendenza, quantomeno una sorta di autogoverno basato sulla Sharia. La Bosnia non è poi così lontana.

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Per questo il Pvv di Wilders, che fino ad ora aveva snobbato le elezioni locali, presenterà candidati in 30 comuni e mentre i tre partiti islamici e Denk si contenderanno alle amministrative il voto delle minoranze, soprattutto di quelle di fede islamica, nella corsa all’identitarismo c’è posto anche per Bij1 un movimento con forte impronta femminista, antirazzista che guarda in particolare alla comunità nera d’Olanda.

I volti di questo forte movimento di opinione sono Sylvana Simons, una ex presentatrice televisiva nata a Paramaribo in Suriname e l’antropologa surinamese Gloria Wekker, autrice del bestseller “White Privilege” (Witte Onschuld) sul razzismo da parte dell’uomo bianco, manifesto politico per intellettuali e per le nuove generazioni di neri olandesi. Secondo i sondaggi Bij1 avrebbe ottime chance di eleggere 2 consiglieri ad Amsterdam, grazie all’enorme popolarità che la Simons gode a Bijlmer, il quartiere surinamese della capitale.

Questa frammentazione su base etnica, secondo opinione comune nei Paesi Bassi, è un segnale preoccupante ma inevitabile: è la seconda e penultima fase del multiculturalismo. Quella finale è la guerra razziale. Come in Bosnia.

E pensare che in Italia ci sono partiti identitari che candidano ‘italiani’ di origine straniera. Una follia. Non per le qualità personali di queste persone, in alcuni casi ottime, ma perché negano alla radice quello che, a parole, questi partiti dicono di volere difendere.

Putnam, studioso di Harvard, per primo analizzò con dati e numeri, il fenomeno della frammentazione sociale causata dall’immigrazione. Non c’è ritorno.

E la democrazia si nutre di ‘uguaglianza’. E’ nata nelle città greche, non negli imperi multietnici delle ampiezze asiatiche.

E’ fondamentale, nella democrazia, proprio la fiducia negli altri. Il riconoscersi negli altri. E la società multietnica è l’antitesi di questo. La società multietnica è incompatibile con la democrazia.

Ecco che le parole di Orban colgono il segno: l’immigrazione minaccia la democrazia. L’immigrazione è la tomba della democrazia.

E allora come si difende la democrazia? Con i muri.