Nei capannoni cinesi che distruggono il Made in Italy – VIDEO

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Dietro l’inferriata si profila un altro mondo. Matasse, gomitoli, scarti di tessuto. Ma anche avanzi di insalata e verdura ad asciugare. E’ il benvenuto ai clienti in cerca di borse e pochi spiccioli. Accanto ai solventi e alle cucitrici, i bambini giocano a pallone, le femminucce con le Barbie. «Siamo usciti ora dalla scuola». Non sono alti nemmeno un metro ma hanno già annusato puzza di guai: non ci lasciano nemmeno finire di parlare che scappano.

Chi a destra, chi a sinistra, il più piccolo si nasconde sotto il tavolo da lavoro. Nel cuore della Chinatown fiorentina ogni giorno è uguale a un altro: gli operai lavorano senza sosta, come forzati. I bambini osservano, giocano o fanno la pennichella in attesa che qualcuno si occupi di loro. Siamo entrati con una task force di almeno quaranta uomini tra Ispettori del lavoro, personale dell’Asl e polizia municipale, nell’azienda alveare, una specie di fiera fatta da decine di padiglioni, circa 45 in tutto, ognuno dei quali corrisponde a una ditta. Si vende solo all’ingrosso, nessun prezzo. Tutto affidato alla contrattazione. Anche se una ragazza ci strizza l’occhio: «Se vuoi puoi prenderlo».

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Ma i prezzi al dettaglio salgono: 10 euro per una pochette, la più piccola che c’è, marchiata come le altre ‘Made in Italy’. Davanti ai nostri occhi i semilavorati che vanno a rifornire i pronto moda, pelle e rocche di filati ma anche vaschette di riso e verdure. Dai lavandini dei bagni sale un odore nauseabondo: qui l’igiene non è di certo la regola. E anche farsi capire non è semplice, accanto agli Ispettori del lavoro ci sono gli interpreti. «Documenti, prego». Sotto la lente sono finiti permessi e autorizzazioni. «Passavo di qui» mette le mani avanti un ragazzone cinese. Scuse vecchie come la storia del mondo che non convincono gli investigatori. Sedici (su un totale di 46) sono i lavoratori risultati a nero di cui quattro clandestini. Otto, invece, le attività sospese.

Gli altri operai sono risultati inadempienti dal punto di vista contributivo per un totale di 90mila euro non versati mentre al momento, dato che gli accertamenti sono ancora in corso, la sanzione ammonta a 70mila euro. Per i minori, non impiegati in attività lavorativa, è stato disposto l’immediato allontanamento. I controlli sono quasi settimanali, sospensioni e sanzioni anche tanto che il tasso di irregolarità degli imprenditori asiatici è sceso dall’80-85% al 50%. Purtroppo i cinesi hanno trovato il modo di raggirare la burocrazia: aprire e chiudere le aziende in pochi giorni con un nuovo nome. La solita storia all’italiana, fatta la legge trovato l’inganno.

Stiamo morendo ci ‘Cina’. I capannoni industriali cinesi sono un tumore. Non solo dal punto di vista economico – devastano il tessuto sociale – ma anche ambientale. Non servono controlli, ma ruspe che li radano al suolo. Invece, siccome le multinazionali devono andare a produrre in Cina per rivendere in Italia, dobbiamo morire. Perché le multinazionali controllano i media e ciò che è buono per loro, diventa buono per tutti.