Ricercatrice: “C’è un abisso tra noi e gli africani, nostra è cultura superiore”

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«Il dibattito sull’esistenza di razze lo lascerei all’accademia, non è certo la sostituzione etnica il problema, ma la coesistenza di comunità diverse per cultura e tradizioni. Sarebbe utile, per capire, rileggere alcuni testi da tempo accantonati come politicamente scorretti, perché dimostrano la superiorità culturale dell’Occidente, di civiltà, non razziale». Per Anna Bono, già ricercatrice in Storia e istituzioni dell’Africa all’Università di Torino autrice del saggio controcorrente Migranti!? (Edizioni Segno), tra Europa e il Terzo mondo (i «paesi cesso» di cui parla lo sgarbato Trump) esportatore di immigrati, c’è un abisso. «È l’abisso tra la civiltà occidentale cristiana e il resto del mondo, non solo l’Africa – spiega la Bono -. I diritti dell’uomo, universali e inalienabili, le libertà personali, il valore di ogni vita, questa è la tradizione occidentale. Dall’altra parte invece c’è una tradizione di diritti legati agli status, a sua volta determinati principalmente da fattori quali il sesso e l’anzianità di nascita, quindi una tradizione di discriminazioni e limitazioni delle libertà personali: in Africa il tribalismo, in India le caste, dappertutto l’inferiorità e lo sfruttamento di donne e bambini».

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Sulla migrazione di massa verso l’Europa, e in particolare verso l’Italia, la Bono nutre poche speranze di integrazione. «Non in questa fase della storia europea e tanto meno italiana. Si integra chi trova lavoro, regolare, questo è il primo passo necessario. L’Italia non ha un futuro per centinaia di migliaia di giovani stranieri, lo sappiamo tutti. La disoccupazione giovanile in Italia ha raggiunto e superato il 40% lo scorso anno. Ogni anno decine di migliaia di giovani italiani emigrano. Ripiegare su lavori in nero, irregolari, attività illegali, continuare a dipendere del tutto o in parte dall’assistenza pubblica e privata: è il destino di gran parte dei giovani africani e asiatici che sbarcano in Italia. Per di più l’Europa sta attraversando una crisi che per semplificare definirei di identità. Non è nella situazione migliore per assimilare gruppi consistenti di persone portatrici di valori e istituzioni diversi, in parte inconciliabili».

Un problema, più che razziale, economico: «In Italia l’arrivo di oltre mezzo milione di immigrati irregolari ha comportato la creazione per loro di un apparato assistenziale in gran parte pubblico che grava per miliardi di euro sul bilancio nazionale. È una situazione difficile da sostenere e sempre più difficile da far accettare ai cittadini italiani».

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Inutile girarci intorno: la cultura è solo una espressione di un sostrato biologico. Che possiamo chiamare ‘razza’ o ‘federica’, ma rimane tale. Non è che una popolazione esprime una certa civiltà per caso, la esprime perché è la somma della propria identità biologica di gruppo. Leonardo dipinse la Gioconda perché era un italiano. Mishima ha fatto seppuku perché era giapponese. Poi, per carità, le cultura si possono anche apprendere, ma a livello individuale, non di gruppo: i gruppi esprimono una cultura propria che sostituisce un’altra.

Quindi spostare il problema dalla ‘razza’ alla ‘cultura’ è un furbesco tentativo politicamente corretto di aggirare il problema. Che ciò che siamo sia un aspetto della biologia, lo dimostra un semplice esempio: l’isola di Hispaniola. Dove oggi convivono due Stati: Haiti, popolato da africani puri, e la Repubblica Dominicana, dove una élite bianca ha cooptato parte della popolazione mulatta e governa. Il primo è, l’ha detto Trump, un ‘cesso’, il secondo è, pur con tutti i suoi problemi, uno Stato incomparabilmente più avanzato di Haiti. Eppure è la stessa isola. Ma sono due popolazioni ‘razzialmente’ differenti.