In ricordo di Sharon, un condottiero nazionalista

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Oggi, quattro anni fa, moriva Ariel Sharon, il “bulldozer” o il “macellaio”, a seconda se eravate con lui, o contro di lui. Morì dopo essere entrato in coma il 4 gennaio del 2006 in seguito ad una grave emorragia cerebrale accusata due settimane dopo un ictus.

Ed è in quella diversa percezione del personaggio, tutto quello che si deve sapere di Ariel Sharon. Un grande leader deve essere amato dalla propria gente e temuto dai nemici; deve pensare al bene prioritario del proprio popolo anche se questo significa calpestare i ‘diritti’ degli altri popoli.

Sharon è stato il portatore di questo valore, in aperto contrasto con quello universalista moderno.

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Quando gli interessi contrastano, non esiste una ‘giustizia’ assoluta, non esistono ‘i diritti universali’, l’unica giustizia è il bene del proprio popolo, gli unici diritti ‘giusti’ sono quelli buoni per la propria gente. Un principio profondamente ‘etnico’ in cui si è espressa tutta la vita di Sharon. L’opposto dei sedicenti leader occidentali di oggi, tutti tesi ad uno sciocco universalismo umanitarista che ora è degradato ad odio di sé.

E da patriota, Sharon sapeva anche quando è il momento della ritirata strategica e degli accordi di pace. Non, in nome della ‘pace universale’ ma, anche in quel caso, in nome dell’unico diritto che riconosceva: quello etnico. Se solo i nostri governanti ragionassero allo stesso modo, invece il loro è un ragionamento completamente rovesciato, masochista.

Un altro insegnamento ci viene da questo grande condottiero che vedeva lontano. Quando gli parlarono di accoglienza dei figli dei nemici del suo popolo, il suo sguardo fissò lontano: “e poi crescono”, rispose.

Noi, oggi, ci stiamo riempiendo casa di quei bambini che un giorno cresceranno. E saranno i carnefici dei nostri bambini.