Centinaia di clandestini vivono all’interno di fabbriche abbandonate nella città di Patrasso, in Grecia. E tentano, ogni giorno, imbarcarsi illegalmente su un traghetto che li condurrebbe in Italia, e magari più a nord in Europa.
“Se non riusciamo a passare il confine da qui, non sappiamo cos’altro fare – dice un giovane fancazzista afghano o pakistano – perché il modo più economico e facile per attraversare è da qui: non devi spendere un sacco di soldi, non ne abbiamo abbastanza per scegliere modi alternativi e finché ne avremo il coraggio, continueremo a provare”. Perché nessuno li rimanda a casa loro.
Quasi tutti provenienti dall’Afghanistan e dal Pakistan, hanno un preconfezionato racconto di violenze. Tipico.
Georgia Tzanakou, assistente sociale, ONG Praxis, che non ha abbastanza bambini greci affamati da aiutare:
“Quando chiedo loro qual è la cosa peggiore che può accadere trovandosi qui, rispondono ‘Morire, ma preferirei morire cercando di raggiungere la mia destinazione invece di essere un vigliacco curato in un rifugio mentre la mia famiglia nel mio Paese sta morendo’”.
Ci prendono anche per dementi. Ma non tutti siamo membri di Ong. Lasciano le loro famiglie, pagando migliaia di euro per arrivare fino alla Grecia, e poi si preoccupano che “stanno morendo”.