Ebrei in fuga da Parigi: «Islamici fanno pulizia etnica»

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Dei 350 mila ebrei della regione parigina, circa 60 mila negli ultimi anni hanno traslocato. Molti hanno abbandonato i quartieri più difficili delle periferie per trasferirsi nella nuova «piccola Gerusalemme» del XVIIème, o nel triangolo d’oro Le Raincy-Villemomble-Gagny appena fuori la capitale.

Provocato dagli atti di antisemitismo che a Saint Denis, Bondy, La Courneuve, Sarcelles, Stains e altri comuni del Grand Paris sono cominciati con la seconda Intifada dei primi anni Duemila e si sono intensificati dopo le stragi di Merah a Tolosa e gli attentati islamisti a Parigi.

Tanti ebrei francesi spinti dall’insicurezza hanno fatto la loro aliya e sono andati a vivere in Israele: nel 2015 sono stati oltre 8000, i più numerosi al mondo per il secondo anno consecutivo. Molti altri che continuano a considerare la Francia come il loro Paese scelgono di cambiare zona e di vivere raggruppati. La vitalità ebraica del XVIIesimo e di altri quartieri è frutto anche di una realtà drammatica: violenze e aggressioni costringono gli ebrei francesi a vivere sempre più tra di loro, per proteggersi, 500 anni dopo la nascita a Venezia del primo ghetto al mondo.

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«Siete ebrei quindi siete ricchi», ripetevano i tre aggressori che l’8 settembre sono entrati nella casa della famiglia Pinto a Livry-Gargan, nel dipartimento Seine-Saint-Denis, quel «93» simbolo suo malgrado della banlieue degradata. «Avrebbero potuto derubarci mentre non c’eravamo, perché abbiamo passato l’estate fuori Parigi — dice Roger Pinto, 78 anni, al telefono da Israele —. Invece sono arrivati proprio il giorno dopo il nostro rientro. Mi hanno buttato per terra prendendomi a calci fino a farmi svenire, gridavano ”se non ci date i soldi vi ammazziamo, lo sappiamo che li avete, ebrei”». Roger, la moglie Mireille e il figlio David forse si trasferiranno nel XVIIesimo, «ma resteremo in Francia — dice Pinto, presidente dell’associazione Siona —. Sono in terapia dallo psicologo, appena starò meglio rientreremo. Il governo francese deve garantire la nostra sicurezza».

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Dopo che il terrorista islamico Amedy Coulibaly il 9 gennaio 2015 scelse il supermercato kasher di Vincennes per uccidere quattro ebrei, «la protezione è aumentata e gli attacchi contro le sinagoghe, le scuole e i centri culturali sono diminuiti», dice Sammy Ghozlan, un commissario di polizia in pensione a capo del Bnvca (Bureau national de vigilance contre l’antisémitisme). «L’operazione Sentinelle con i militari di pattuglia funziona per i luoghi pubblici, ma le violenze hanno cambiato bersaglio e ora colpiscono i privati cittadini, soprattutto in certe parti del dipartimento Seine-Saint-Denis, dove il radicalismo islamico è più forte».

La mattina del 13 maggio 2017, poco dopo le 7, la signora Françoise (il nome è stato cambiato su sua richiesta) è scesa di casa con la figlia a Romainville. In un caffè di Les Lilas, il comune poco lontano dove abita adesso, mostra alcune fotografie. «Sulla portiera della mia Opel c’erano strisce bianche, per istinto ho provato a toglierle con la mano ma mia figlia se ne è accorta subito: “Mamma, è una scritta”». La grande parola «Juif», ebreo, incisa sulla fiancata. Con l’auto così marchiata Françoise ha comunque percorso la tangenziale per andare a lavorare, tra i colpi di clacson degli altri automobilisti. «Appena due mesi prima eravamo stati rapinati in casa mentre dormivamo». Cinquant’anni, un marito e tre figli, la signora lavora come hostess di accoglienza negli studi tv. «È stata la polizia a dirci di traslocare: “Vi hanno preso di mira, fareste meglio ad andarvene”». Al collo Françoise porta una stella di David, «ma quando prendo la metropolitana ormai la nascondo».

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Gli atti di delinquenza comune e le liti di vicinato si mescolano all’antisemitismo. Geneviève (nome cambiato), sefardita, arrivata quarant’anni fa dal Marocco, a La-Celle-Saint-Cloud fa amicizia con la vicina algerina finché un giorno si sente dire «eppure assomigli a una ebrea». «Da allora mi perseguita, mi lancia cose dal terrazzo, lei e il figlio mi chiamano ”sporca ebrea”, danno colpi alla porta per spaventarmi». Geneviève teme di fare la fine di Sarah Halimi, ebrea 65enne, che il 4 aprile a Belleville è stata aggredita in casa dal vicino passato per il terrazzo. Sarah è stata picchiata per un’ora al grido di «Allah Akhbar», poi gettata dal terzo piano. «Ho ucciso sheitan! (il diavolo in arabo, ndr)», gridava Kobili Traoré prima di essere internato.

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Davanti alla stazione di Le Raincy incontriamo Alain Benhamou, ingegnere in pensione del gruppo Italcementi, che ha vissuto per 41 anni con la moglie a Bondy. Hanno aggredito sua figlia a scuola insultandola perché ebrea. Ha finito per trasferirsi a Villemomble dopo essere stato rapinato e avere dormito per giorni con una mazza da baseball accanto al letto. «Con il rossetto di mia moglie hanno scritto sul muro ”Sporco ebreo, viva la Palestina”. A Bondy eravamo 400 famiglie ebree, ne restano 100». «Le sinagoghe chiudono, gli ebrei hanno paura di prendersi sputi e sassate e rinunciano a mettersi la kippa», dice Ghozlan. Solo un terzo degli ebrei francesi ormai mandano i figli alla scuola pubblica, preferiscono gli istituti ebraici o cattolici dove non subiscono intimidazioni. Accanto al sogno giusto e un po’ retorico del «vivere insieme», crescono l’antisemitismo e il rischio che la società francese si divida in comunità a sviluppo separato.

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Si chiama pulizia etnica. Ma se la fanno i musulmani, allora va bene.

 

Daniel Krygier, analista politico del World Israel News, ha avvisato: il nemico in Europa per gli Ebrei è l’immigrazione islamica, non i partiti populisti, che nulla hanno a che vedere con il nazismo e che invece devono essere alleati. Invita, Krygier, a non confondere esperienze storiche passate con quelle attuali. Pena ripetere il passato, e i drammi del passato, in modo inaspettato.

E soprattutto invita ad evitare ridicoli parallelismi in stile Fiano, tra la persecuzione nazista degli ebrei e l’attuale giusta reazione europea all’invasione islamica.

Del resto, noi populisti occidentali, altro non vogliamo che applicare le leggi che Israele applica a casa propria: blocco delle frontiere, espulsione degli africani che nulla hanno a che vedere con la nostra cultura e società, creazione di Stati nazionali etnici. Ne hanno il diritto gli ebrei israeliani, ne abbiamo il diritto noi.