Un altro magistrato pappa e ciccia con l’invasore
L’Inps non può negare gli assegni familiari a uno straniero che lavora in Italia ma che ha moglie e figli nel suo Paese di origine.
E’ la bizzarra sentenza della Corte d’appello di Torino che, ribaltando il giudizio di un tribunale piemontese, ha condannato l’istituto di previdenza (gli Italiani) a versare a un immigrato dallo Sri Lanka la somma di 4.649 euro (più interessi e spese legali).
Il ricorrente lavora come collaboratore domestico in provincia di Alessandria. Come faremmo senza i domestici cingalesi. L’Inps aveva respinto la sua domanda di assegno per il nucleo familiare relativa al periodo 2014/15 perché la moglie e i due figli minorenni, all’epoca, erano ancora nello Sri Lanka (si trasferirono purtroppo in Italia nel gennaio del 2016). La Corte ha sancito che la condotta dell’istituto è stata «discriminatoria».
«Esiste una direttiva europea – spiegano gli avvocati dell’immigrato, Alberto Guariso e Livio Neri – che stabilisce la parità di trattamento. Sul presupposto che uguali diritti servano alla coesione sociale e all’efficienza del sistema economico, sarebbe il caso di mettere mano alle norme che ancora prevedono una differenza di trattamento. E garantire così l’uguaglianza effettiva».
Il prossimo governo metterà mano.
Queste sentenze, tese a privilegiare i migranti, potrebbero però avere l’effetto non previsto dagli xenofili, di evitare molti ricongiungimenti familiari: ormai l’unico modo oltre ai ‘profughi’ di ingresso in Italia.
Non si capisce perché se qualcuno vuole un ‘colf’, poi gli italiani si debbano vedere imporre tutta la famiglia del colf fino alla settima generazione: una catena senza fine.