«Se Allah dice che ritorno, inshallah, allora ritorno…». È il luglio del 2016 quando Meriem Rehaily, la ventiduenne partita dal Padovano per arruolarsi nello Stato Islamico, risponde così al padre.
Lei, che alle compagne di scuola confidava «Non vedo l’ora di piegare uno e togliergli la testa», non esclude un rientro. Anzi, aggiunge: «Ovvio che ritorno con la testa alta, io, non me ne frega di nessuno: se anche mi arrestano più di centomila anni, me ne vanto…».
Ora, con Raqqa caduta molti figli di immigrati musulmani sono in fuga. E il pericolo è che decidano davvero di fare rientro in Occidente, magari con dei documenti falsi. Anche in Italia. Che ha un’unica fortuna rispetto a Francia e Gb: non c’è lo ius soli. Ma il PD sta tentando di rimediare…
La nostra intelligence è già al lavoro anche perché, come si legge nell’ordinanza che ordina l’immediato arresto di Meriem, a preoccupare è la sua «disponibilità al martirio. Allo stato non può escludersi la possibilità che l’indagata possa essere disponibile a mettere a segno azioni kamikaze da commettere anche in Italia e in particolare a Roma». Un’eventualità che riguarda l’ex studentessa ma non solo.
Anche Sonia Khedhiri, 22 anni, partita da Onè di Fonte (Treviso) nell’agosto del 2014, ora è ufficialmente inserita nelle liste dei cosiddetti foreign fighters, eufemismo che sta per immigrati musulmani di seconda generazione, in mano alle polizie di tutto il mondo: pur non essendo ancora interessata da un mandato di arresto internazionale (l’inchiesta della procura di Venezia è tuttora in corso), se venisse individuata verrebbe comunque bloccata. Le ultime notizie, non confermate, la davano sposata al numero due dell’Isis, l’emiro Abu Hamza, che ha giurato: «Sono pronto a morire in battaglia con mia moglie». In realtà, il marito l’avrebbe mandata ad Al Mayadeen perché, dopo aver dato alla luce una bambina, era di nuovo incinta.
I timori di un possibile rientro in Italia coinvolgono anche Munifer Karamaleski, 29 anni, partito nel 2013 da Palughetto di Chies d’Alpago (Belluno). Ferito in battaglia, per un periodo avrebbe custodito il «tesoro dell’Isis», un deposito che contiene il bottino di guerra. È ancora vivo, o almeno questa è l’ipotesi confortata dal fatto che il suo telefono, che utilizzava in Siria già nel 2016, da qualche mese è tornato attivo: sul proprio profilo Whatsapp, l’ex imbianchino diventato tagliagole si diverte a pubblicare immagini che alternano bandiere nere e mazzi di fiori. Nell’ordinanza con la quale il giudice di Venezia ordina il suo immediato arresto, si legge che «solo il carcere può impedire che continui nell’opera di prosecuzione in ruoli attivi funzionali all’associazione terroristica, con condotte finalizzate (…) a combattere direttamente, non solo nei teatri di guerra in Siria, ma anche poi, al rientro, in Stati nordafricani oppure occidentali, quindi anche in Italia». Karamaleski è fuggito in Siria con la moglie Ajtena e i tre bambini piccoli, che ne frattempo hanno subìto l’indottrinamento previsto per i figli dei combattenti.
Noi, ovviamente, speriamo che siano tutti morti. Per questo è stato stupido se non criminale bloccare molti di questi immigrati di seconda generazione che volevano arruolarsi con ISIS: ponti d’oro al nemico che fugge. Dovevamo concentrarli tutti lì, poi ci pensava Putin.
Invece sono tra noi. Pronti a colpire. Figli di immigrati. Italiani, secondo il PD.