Il coinvolgimento crescente di rifugiati nell’escalation di crimini e reati commessi sta alimentando l’insofferenza della popolazione nei confronti dei profughi. E i reati commessi dai rifugiati rappresentano una grave manifestazione di ingratitudine per l’ospitalità ricevuta.
È la denuncia dei vescovi italiani? No, di quelli libanesi nel corso della loro riunione mensile, svoltasi mercoledì 4 ottobre a Bkerké, sotto la presidenza del patriarca Bechara Boutros Rai.
Davanti al crescere della tensione sociale, i vescovi maroniti (cattolici), nel comunicato finale, hanno rinnovato l’appello alle autorità politiche libanesi e internazionali a «non risparmiare alcuno sforzo per accelerare il ritorno degli rifugiati siriani alle loro case», in modo che possano anche contribuire alla ricostruzione del proprio paese.
I vescovi maroniti hanno aggiunto che ormai in Siria, vista la piega che stanno prendendo gli avvenimenti sul campo, «ci sono molte aree sicure che possono ospitare gli sfollati in modo dignitoso, in attesa che nel proprio paese si consolidi una pace completa». Già lo scorso 30 settembre (cf. Fides 2.10.2017) il patriarca Rai, nel corso di una visita pastorale nella Valle della Beqa’, aveva rimarcato che la presenza massiccia di profughi siriani in Libano sta creando una situazione insostenibile, che può essere affrontata solo favorendo in tutti i modi il ritorno dei rifugiati siriani al proprio paese.
E quelli sono almeno profughi veri, non maschi africani in fuga dalla guerra in Siria. I vescovi italiani, però, sono troppo ghiotti di nuovi membri africani per la chiesa.