Oggi, 101 anni fa, morirono due patrioti. Due grandi italiani, Cesare Battisti e Fabio Filzi. Irredentisti. Negazione vivente dello ius soli: erano italiani, nonostante fossero nati in un territorio allora austriaco. Stranieri come Garibaldi, secondo lo ius soli.
Alpini, i patrioti Fabio Filzi e Cesare Battisti vennero catturati durante la Grande Guerra, dopo essere stati riconosciuti, furono tradotti e incarcerati a Trento.
A riconoscere l’irredentista trentino fu Bruno Franceschini, originario della Val di Non e residente a Rovereto. Lui, da bravo servitore dello Stato che ti capita per caso, combatteva con l’esercito austriaco. Contro il suo sangue.
La mattina dell’11 luglio, Battisti e Filzi vennero trasportati attraverso la città a bordo di un carretto, in catene e circondati da soldati. Come monito alla popolazione italiana. Durante il percorso, organizzato dalla polizia austriaca in una Trento semideserta e silenziata, le milizie lo fecero bersaglio di insulti, sputi e frasi infamanti, apostrofandolo come traditore: come cittadino austriaco per ius soli era tale, secondo le leggi austriache e multietniche, un patriota, secondo natura.
Tutta questa operazione aveva fini precisi per l’autorità asburgica soprattutto per Battisti, che era ancora deputato austriaco: “Una volta catturato, Battisti entrerà come attore in un apparato scenico in cui l’azione collettiva si sposa ad un’abile regia governativa”.
I due dovettero subire moltissimi insulti ed umiliazioni dai propri carcerieri. In via Borgonovo la folla, composta in maggioranza da militari e funzionari austriaci, incominciò a fischiare, a schiamazzare e a ingiuriare i prigionieri: ingiurie come Hund (cane), Schuft (briccone), Canaille (canaglia)”.
“Sovente volte i prigionieri vennero sputacchiati”.
I testimoni riportano anche d’altri atti di violenza contro Battisti: gli furono gettati addosso polvere e zolfo con un mantice; fu percosso da una guardia cittadina; avendo chiesto da bere, gli fu offerta acqua sporca.
La mattina seguente, il 12 luglio 1916, fu condotto insieme a Fabio Filzi davanti al tribunale militare, che aveva sede al Castello del Buonconsiglio, al tempo adibito a caserma delle truppe austro-ungariche. Durante il processo non si abbassò mai alle scuse, non le doveva. Né rinnegò il suo operato e ribadì invece la sua piena fede all’Italia. Respinse l’accusa di tradimento a lui rivolta, basata sul fatto d’essere suddito asburgico passato alle file nemiche e deputato del Reichsrat. Egli si considerò invece soltanto un soldato catturato in azione di guerra. Perché lui era italiano, nonostante lo ius soli.
«Ammetto inoltre di aver svolto, sia anteriormente che posteriormente allo scoppio della guerra con l’Italia, in tutti i modi – a voce, in iscritto, con stampati – la più intensa propaganda per la causa d’Italia e per l’annessione a quest’ultima dei territori italiani dell’Austria; ammetto d’essermi arruolato come volontario nell’esercito italiano, di esservi stato nominato sottotenente e tenente, di aver combattuto contro l’Austria e d’essere stato fatto prigioniero con le armi alla mano. In particolare ammetto di avere scritto e dato alle stampe tutti gli articoli di giornale e gli opuscoli inseriti negli atti di questo tribunale al N. 13 ed esibitimi, come pure di aver tenuto i discorsi di propaganda ivi menzionati. Rilievo che ho agito perseguendo il mio ideale politico che consisteva nell’indipendenza delle province italiane dell’Austria e nella loro unione al Regno d’Italia.»
Alla pronuncia della sentenza di morte mediante capestro per tradimento, Battisti prese la parola e chiese tramite l’avvocato d’ufficio, invano, di essere fucilato invece che impiccato, per rispetto alla divisa militare che indossava. Il giudice gli negò questa richiesta. Si procedette invece ad acquistare alcuni miseri indumenti da fargli indossare, dando esecuzione alla sentenza due ore dopo la sua lettura.
L’esecuzione avvenne nella Fossa della Cervara, sul retro del castello. Le cronache riportano che la prima volta il cappio si spezzò e che il carnefice ripeté l’esecuzione con una nuova corda. Un testimone diretto raccontò che, qualche ora prima dell’impiccagione, chiese chiesto al boia (Josef Lang, venuto da Vienna e chiamato ancora prima che il processo iniziasse) come sarebbe stata fatta. Questi glielo fece vedere, passando una corda sottile attorno al collo di un assistente e fissandola poi a un gancio. Richiesto se proprio quella era adatta per l’esecuzione, il Lang rispose che la corda buona la teneva nella valigia, donde effettivamente poi l’estrasse quando la prima si spezzò, il che sta a significare che già era stato deciso che il supplizio sarebbe stato ripetuto.
Cesare Battisti morì gridando in faccia al carnefice ed ai numerosi spettatori: Viva Trento italiana! Viva l’Italia!.
Chi vota per lo ius soli tradisce la memoria di Fabio Filzi e Cesare Battisti. Li impicca un’altra volta. Noi che li onoriamo, un giorno vendicheremo l’oltraggio.