Magistrato condanna contribuenti italiani a risarcire immigrati

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Le varie magistrature non applicano le leggi, le inventano. E se a Firenze il tribunale dei minori già noto per lo scandalo Forteto dà due bimbi ai gay, quello di Bari aggredisce la società da un altro lato, quello dell’immigrazione.

Il Tribunale civile di Bari ha condannato i contribuenti italiani ad un immigrato che aveva fatto ricorso attraverso la Cgil (ricordatevi, la CGIL) le tasse pagate dal 2012 al 2015 per ottenere il permesso di soggiorno e per il successivo rinnovo, pari a 440 euro più spese legali. Perché gli italiani devono pagare per rinnovare la patente, gli immigrati no per stare in Italia.

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La tassa, di importo variabile fra 80 e 200 euro, era stata introdotta con decreto legge nel 2011. Il patronato Inca Cgil e la Cgil Nazionale, ritenendola “ingiusta, sproporzionata ed in aperta contraddizione con le finalità di integrazione e di accesso ai diritti previsti dalle norme comunitarie”, avevano presentato ricorso alla Corte di Giustizia europea, che nel settembre 2015 aveva stabilito che la tassa era illegittima. Nell’ottobre scorso anche il Consiglio di Stato ha definitivamente stabilito l’annullamento della tassa che oggi non è più richiesta. La sentenza del tribunale di bari è tra le prime in Italia.

Quindi un gruppuscolo di giudici Ue e nostrani si arroga il diritto – complici gli ex sindacalisti della CGIL – di decidere quali leggi sono o meno giuste.

Uno dei primi passi di un governo populista sarà quello di rivoltare la magistratura come un calzino. E, ovviamente, uscire dalla UE. Per la CGIL, invece, basterà fare pagare le tasse ai suoi patronati.