Atene: il paradiso dei gay a caccia di profughi minorenni – STORIE CHOC

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Amir è un clandestino afghano di 16 anni. Ogni notte attraversa la strada, attento a non farsi vedere, e con un gruppo di colleghi di un vicino ‘campo profughi’ si addentra nel buio di un parco di fronte al campo di Elliniko, nel quale vive da mesi, alla periferia di Atene. Lo aspettano i suoi clienti gay: Atene, con le sue migliaia di giovani e giovanissimi maschi pakistani e afghani è diventata la nuova mecca dei gay europei in cerca di carne fresca a basso costo.

Ogni notte si prostituiscono per meno di trenta euro, sotto gli occhi del governo greco, che gestisce il campo e fa finta di non vedere.

Dietro un albero, ben nascoste, le decine di preservativi e fazzoletti usati sono il racconto di quello che accade tra i cespugli quando cala il sole. All’interno di questa cornice desolante avvengono gli incontri tra i clandestini e i gay a caccia, perlopiù anziani.

“La prima volta è successo nei pressi di piazza Syntagma, in pieno centro. Un vecchio mi si è avvicinato e mi ha fatto l’occhiolino. Solo dopo ho capito”, racconta Amir, seduto su una delle panchine del parco. “A volte mi toccano. Mi si siedono accanto e mi stringono il braccio per farmi capire che vogliono venire a letto con me”.

“Sono musulmano e fare sesso con questi uomini mi provoca un grande senso di colpa. Per questo cerco di non far sapere a nessuno del campo quello che in realtà facciamo. Me ne vergogno”, spiega Amir.
“Credo che questi vecchi siano malati di mente, ma ho bisogno di soldi per comprarmi i vestiti, per mangiare quello che mi piace e per potermi comprare le sigarette”.

È arrivato ad Atene circa un anno fa. I suoi fratelli e le sue sorelle sono rimasti tutti nella provincia afghana del Panjshir, dove non ci sono guerre. Lui, invece, ha deciso di ‘cercare fortuna’ in Europa richiamato dagli appelli demenziali della Merkel. E ora è rimasto bloccato ad Atene, a fare da schiavo sessuale di volontari e gay assatanati.

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“Se non facessi questo lavoro non avrei nulla. Non avrei soldi e non potrei nemmeno parlare con i miei fratelli”, racconta, tirando fuori dalla tasca il suo smartphone nuovo di zecca.

Amir, come altri suoi colleghi clandestini da mesi vive all’interno del vecchio terminal delle partenze di Hellinikon, l’ex aeroporto internazionale di Atene, all’interno del quale il governo greco ha improvvisato il campo di Elliniko, che oggi ospita circa 3mila migranti, provenienti principalmente dall’Afghanistan. Per non mischiare le etnie.

Scrive il giornalista greco:

A Pedion Areos, un parco in pieno centro noto agli ateniesi per lo spaccio e la prostituzione minorile, incontro Said. Dice al mio traduttore, un afghano sulla trentina che lavorava per la Nato, di avere vent’anni, ma è difficile credergli. Ne dimostra molti di più. Le mani di Said, un afghano Hazara dagli occhi a mandorla che vive e dorme in strada, sono invase dalle piaghe.
Trascorre le sue giornate a fumare una nuova droga, ricavata dall’acido delle batterie delle automobili, in una radura all’ingresso del grande parco, insieme a un gruppo di tossicodipendenti. È la sisa: la droga della crisi, anche conosciuta come “la droga dei poveri”. Said non sembra troppo interessato alle chiacchiere e ha solo un obiettivo: trovare la sua dose giornaliera.
Oltre il cancello del parco, si erge lo scheletro di una città in declino, che conserva ancora il fascino di una grande capitale e i sogni disperati di chi la vive. Come Alexis, un ragazzo greco di 34 anni che sogna di tornare a fare il fotografo. Ha studiato all’università e parla un perfetto inglese. Porta sempre con se un sacchetto sgualcito di plastica nel quale conserva alcune matite colorate e un foglio. Disegna. E si buca. E così evade dall’universo spettrale nel quale è piombato da tempo.
Basta fare un giro verso sera per i vialetti desolati del parco, per imbattersi in almeno una trentina di vecchi seduti sulle panchine nascoste tra gli ulivi. Alcuni fanno finta di camminare e quando si sentono osservati, si girano di scatto, nevrotici. Altri guardano nel vuoto e aspettano.
Altri ancora non hanno problemi a manifestare le loro voglie. “Cercate dei giovanotti? Se li trovate fatemelo sapere, mi raccomando, li sto cercando anche io”, rivela un anziano sulla sessantina, con una risata sinistra e famelica. La risata di chi aspetta da ore la sua prossima preda.

“Questi uomini hanno una bella vita e solitamente arrivano con una bella macchina. Quando non facciamo sesso con loro in macchina o nel parco qui davanti, andiamo a casa loro, al caldo. Dura una decina di minuti e poi me ne vado”, racconta Faarooq. “Quando usciamo di notte nel parco, uno di noi fa da palo, per assicurarsi che nessuno arrivi o ci veda”.
Faarooq è molto portato per le lingue. Ha iniziato gli studi di giurisprudenza in Afghanistan, che non ha potuto concludere, e ha provato a cercare un lavoro come sarto ad Atene, racconta. Ma non ha trovato nulla. E così ha iniziato a prostituirsi. Come lui, che ha speso circa 7mila euro per raggiungere l’Europa e si è ritrovato bloccato in un limbo, sono migliaia i ragazzi giovani che presi dallo sgomento cedono agli orrori della strada.
“Ho smesso di andare a Pedion Areos. È pieno di eroinomani e una volta sono stato attaccato di notte. Hanno provato a rubarmi il telefono. Per questo adesso cerchiamo di girare sempre in gruppo. Saremo una decina in tutto, nel campo, e sono tutti più piccoli di me. Per andare dai clienti normalmente facciamo i turni, per poter mangiare e dormire tra un incontro e l’altro”, spiega.
“Ormai ho esperienza, sai? So bene che cosa significa quando un uomo mi guarda sull’autobus o in treno e mi sorride. Lo capisco, so quello che vuole. Posso leggerglielo negli occhi”, si ferma un momento e scorre le foto sullo schermo del suo Samsung. Ne mostra una in cui rischia la vita agganciato sotto a un tir e con orgoglio confessa: “Questo sono io. Voglio attraversare il confine. Ci voglio riprovare”.

Questa è l’immigrazione. Sfruttamento dell’uomo sull’uomo. L’immigrato danneggia i più deboli ed è sfruttato dai più pervertiti. Li illudono, e loro pagano migliaia di euro per fuggire non, dalla guerra, ma da una vita normale e piuttosto benestante: poi finiscono per dare il culo a chi ne invoca l’accoglienza.