Drammatico suicidio in Sardegna. Un’amica affranta racconta la storia disperata di Marco: “Un uomo ferito dall’amore, con la sua casa ancora da pagare, che assisteva la sua anziana mamma. Da anni spediva curricula e nessuno gli rispondeva. L’ennesima vittima di un sistema che lascia in balia di se stessi”
“Voglio raccontarvi una storia, la storia di un uomo che nel bel mezzo della sua vita si è trovato per strada, licenziato da un impiego che per decenni gli aveva dato sostentamento”. Comincia così la straziante lettera di una giovane donna che qualche giorno fa, nel piccolo centro campidanese di Samatzai, ha perso il suo amico, ennesima vittima di una crisi senza fine. Lacerato dal dolore, vittima di un sistema che non è più in grado di sostenere i più deboli, Marco (così chiameremo il protagonista di questa triste storia), ha definitivamente gettato la spugna a soli 49 anni. “Questa è la storia di un uomo ferito dall’amore, di un uomo e la sua casa ancora da pagare, di un uomo che viveva per il prossimo, che seppur tormentato dalla disperazione assisteva con amore e dedizione la sua anziana mamma”. Pagare con la propria vita, talvolta per responsabilità non proprie. Quello di Marco è solo l’ennesimo triste racconto di chi, alla soglia dei cinquant’anni, una volta perso il lavoro, si ritrova tagliato fuori da un mondo che sembra avere sempre meno spazio anche per i più giovani.
Ed è così che le porte si chiudono, i curriculum che per 4 anni interi finiscono nel tritacarte delle segreterie, e la disperazione gioca a farla da padrona. “Quella che voglio raccontarvi, perché non passi inosservata, e che sia d’esempio a migliaia di altri italiani nella stessa tragica situazione di Marco, è la storia dell’ ennesima vittima di un sistema che lascia in balia di se stessi, che fa orecchie da mercante di fronte alla disperazione, che non fornisce alternative a quel gesto estremo che è stato in grado di compiere”. Odiava così tanto la parola “pazienza” Marco, al punto da arrivare a non averne più a disposizione, ponendo fine ad uno strazio nel modo forse più semplice, immediato, ma al contempo coraggioso. Perché ci vuole grande coraggio a rinunciare alla propria vita, ad arrendersi di fronte ad uno stato che anziché agire da garante per i suoi cittadini, infierisce fino all’ultimo respiro delle centinaia di vittime che ha mietuto in questi ultimi anni.
“Tutti devono sapere, tutti devono conoscere la verità, non è stato lui a voler porre fine a questa vita, è stato il sistema marcio ad ammazzarlo, ma gli chiedo di perdonarmi da lassù, se non sono stata in grado di fare di più, se non sono riuscita a capire”. Probabilmente non è un caso che nel 2016 si sia raggiunto il tragico record di “vittime della crisi”. I dati rilevati e pubblicati dall’istituto “Link Lab”, parlano di una crescita di oltre il 20% rispetto al 2015 nel solo primo semestre, con una percentuale del 40% per i disoccupati e del 44,1% per gli imprenditori. Numeri allarmanti che spingono la nostra amica e lettrice a un appello che suona quasi come un monito: “voglio rivolgermi a voi tutti, a voi che vivete nel tormento, il cappio al collo potrebbe apparire come la miglior soluzione per porre fine ai vostri problemi, credetemi, non è così; lascereste dietro solo strazio, dolore e lacrime a chi standovi vicino non è riuscito a porre rimedio al vostro tormento, le soluzioni si trovano, parlandone con i familiari e gli amici più cari, lo stato non può e non deve avere la meglio sui più deboli”.
Tutto questo avviene mentre il governo è impegnato nel ripopolamento della Sardegna con giovani maschi africani e il governatore PD della Regione dice questo: