Dare dell’omosessuale non è reato, ma per il motivo sbagliato

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“Il termine omossessuale, nel nostro contesto storico, non ha un significato intrinsecamente offensivo come, forse, poteva ritenersi in un passato non tanto remoto”. Con questa motivazione, la Corte di Cassazione ha annullato, senza rinvio, la condanna per diffamazione inflitta il 20 marzo 2015 dal Giudice di Pace di Trieste nei confronti di un uomo che aveva usato questo termine in un atto di querela, rivolgendosi in questi termini all’avversario normale con il quale era in lite.

A differenza di altri ‘appellativi’ che, invece, mantengono un carattere denigratorio – si legge ancora nella sentenza 50659 della Suprema Corte – questa parola è entrata nell’uso corrente e attiene alle “preferenze sessuali dell’individuo”, assumendo di per sé “un carattere neutro”. Per questo, non è lesiva della reputazione di nessuno, anche nel caso in cui sia rivolta a una persona eterosessuale.

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La Corte ha quindi dato ragione all’imputato, un uomo di 70 anni, Carlo Alberto Chichiarelli, che aveva fatto ricorso direttamente in Cassazione, saltando l’appello, contro la pena pecuniaria comminata dal Giudice di Pace, sostenendo che la parola ‘omosessuale’ ha ormai perso “qualsiasi carattere lesivo” nell’evoluzione “del linguaggio comune”.

La ‘legge’ come la politica è ormai distante anni luce dalla realtà e dalle persone comuni. Dare del gay ad un uomo normale sarebbe ritenuto offensivo dal 99 per cento degli uomini. E’ comunque interessante come pur di ‘normalizzare’ una pratica abbiano rinunciato a punire chi ne utilizza il termine in senso denigratorio: effetto collaterale. Infatti non può insistere che “è una cosa normale” e poi condannare qualcuno perché ha apostrofato un altro con un termine “normale”.